A proposito della prossima scadenza elettorale e di candidati alla presidenza della Regione Sardegna

Dettagli di Mario Medde

Mancano pochi mesi alla fine della legislatura regionale. I partiti sono impegnati a definire le alleanze e a individuare il candidato a Presidente della Regione Sardegna per la prossima legislatura. Il Partito democratico e i Cinque stelle vi hanno già provveduto con la parlamentare di questi ultimi, la nuorese Alessandra Todde. Nell’area del centro sinistra si preannunciano altre scelte, tra le quali quella di Renato Soru, già Presidente della Regione dal 2004 al 2009 e poi parlamentare europeo. Sono in corso comunque tentativi di dialogo. Nel centro destra non si è deciso; per il momento la scelta potrebbe ricadere sull’attuale presidente della Regione Christian Solinas, sardista, oppure sul Sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, di Fratelli d’Italia. Per il momento si parla di queste due persone.

Le scelte e le discussioni sul tema riguardano essenzialmente gli interessi di partito e più in generale gli spazi di manovra in caso di vittoria. Ovviamente in questo scenario pesano notevolmente le ambizioni personali e l’incidenza che su di esse potranno avere le alleanze tra i diversi schieramenti. Da quel che si legge, i programmi per la campagna elettorale e per governare la Regione verranno dopo. Ma avranno comunque vita breve!

È infatti una costante della politica accantonare i programmi appena ci si insedia nel Palazzo di Via Roma e a Villa Devoto. Inoltre il mandato imperativo non esiste per i parlamentari, figuriamoci per i consiglieri regionali. E poi c’è l’alibi che comunque a fine mandato decideranno di nuovo gli elettori. Dopo cinque anni s’intende, quando saranno scomparse anche le tracce dell’attività del Consiglio, della Giunta, e ancora prima gli stessi programmi elettorali e gli impegni solennemente assunti nelle tv e nei giornali. Eppure questa scadenza per rinnovare il Consiglio regionale potrebbe avere una grande rilevanza, non fosse altro per coglierla come una opportunità di cambiamento, cioè di modificare, magari anche parzialmente, i metodi di approccio e di gestione delle scelte elettorali prima e di governo della Regione poi.

Un’impresa certo ardua e irta di enormi difficoltà, rese ancora più evidenti dalle discussioni in atto nei diversi schieramenti sulla scelta del candidato alla presidenza della Regione, e dall’assenza di contenuti e obiettivi riguardanti l’Isola e i necessari cambiamenti per superare le antiche e recenti criticità del sistema Sardegna. Proposte e strategie che dovrebbero rappresentare un prius nella costruzione e definizione delle alleanze, e che invece vengono rinviate a una fase successiva privilegiando appunto le intese elettorali per vincere nella competizione.

È chiaro dunque come i programmi e la volontà degli elettori contino sempre di meno rispetto agli obiettivi di potere, e in fase di governo rispetto alle mille compatibilità che condizioneranno le forze di maggioranza, e non adeguatamente valutate in campagna elettorale.

Questo, accanto all’inaridirsi del rapporto con la società e all’autoreferenzialità, ha contribuito negli anni alla crisi della rappresentanza politica e alla disaffezione degli elettori. La crisi della democrazia, cioè della partecipazione alla formazione della volontà pubblica, appare dunque oggi un processo quasi inarrestabile, sia a livello nazionale che regionale.

In Sardegna, ad esempio, salvo occasionali eccezioni, il confronto tra Regione e parti sociali sui documenti più importanti dello sviluppo, del lavoro e della programmazione annuale e pluriennale, è stato di fatto annullato cancellando una lunga storia di sistematica partecipazione e contributi sindacali di stampo concertativo; e le consultazioni elettorali non esauriscono certo la rilevanza della partecipazione alle scelte e alla formazione della volontà pubblica.

Le associazioni del sociale e il sindacato, anche per questi motivi, sono dunque soggetti fortemente interessati alla rivitalizzazione della democrazia e della partecipazione. Il pluralismo delle istituzioni e delle autonomie locali è infatti una necessità funzionale al governo della complessità e alla regolazione del conflitto. Il ruolo e l’apporto delle rappresentanze sociali è fondamentale perché il conflitto possa essere anticipato dalla cooperazione, che è un’altra e forse più importante forma di interazione tra individui, istituzioni e organizzazioni.

Non si tratta di costruire una società meramente consensuale, ma di valorizzare gli strumenti e i soggetti della regolazione, in primo luogo quelli sindacali per affermare processi decisionali più partecipati e condivisi. In questa direzione il sindacato e le organizzazioni del sociale concorrono a produrre luoghi e politiche accettate e diffuse in grado di consentire ai cittadini e alle rappresentanze di contribuire alla formazione della volontà pubblica e al cambiamento.

La dimensione federalista, societaria, cooperativa e solidaristica è infatti quella più adeguata a garantire la partecipazione alle scelte dello sviluppo, alla promozione del lavoro e alle riforme.

È su queste considerazioni, sul versante delle ragioni sindacali e dell’associazionismo in generale, ma pure su quello degli interessi più complessivi della società sarda, che nascono e si rafforzano le motivazioni e le azioni sulle prossime elezioni, sulle alleanze elettorali e sui candidati alla presidenza della Regione Sardegna.

In conclusione, e in grande sintesi, appare chiaro quale debba essere per il sociale uno dei principi fondanti le alleanze, per la prossima consultazione elettorale e quali debbano essere le caratteristiche politico-culturali e la predisposizione personale e operativa del candidato a presidente della Regione, sia che si arrivi a “campi larghi“ che a meno larghi.

È decisivo infatti il rilancio della politica come rappresentanza reale degli interessi generali e come positiva mediazione e successiva capacità attuativa.

La democrazia è fondamentale per lo sviluppo, in antitesi alla frantumazione sociale, al dirigismo misto al liberismo, poiché si vive in un’epoca di concentrazione dei luoghi decisionali, insieme oligarchica e complessa, che necessita di forti contrappesi istituzionali e di sedi di partecipazione sociale. Infatti, i governi, a tutti i livelli, anche quando sono numericamente forti non riescono da soli a gestire la complessità delle dinamiche economiche e sociali e a mettere in campo le necessarie soluzioni.

L’autorevolezza della Regione e la sua capacità di incidere sui problemi dello sviluppo e del lavoro si può rafforzare invece con il pluralismo e il protagonismo delle istituzioni locali e con la partecipazione fattiva delle rappresentanze sociali.

Ecco, questi sono alcuni punti fermi per non cedere alle tentazioni di un potere neoautoritario anche a livello regionale, e per restituire ai cittadini, pure oltre la consultazione elettorale, la decisione e il controllo nella formazione e attuazione della volontà collettiva. Il lavoro che sta dietro le dinamiche della partecipazione comporta una fatica della democrazia che rappresenta un valore assoluto e irrinunciabile.