di Mario Medde
Le leadership della gran parte dei Paesi del mondo, ai diversi livelli politici, istituzionali e sociali, si interrogano circa le scelte migliori e urgenti utili a contrastare le conseguenze economiche e sociali causate dal diffondersi della pandemia da coronavirus. In questa fase della crisi le proposte e gli interventi adottati si differenziano per tipologia e per quantità delle risorse finanziarie messe in campo.
Per il momento, la gran parte riguarda misure di sostegno alle imprese in crisi di liquidità, con agevolazioni di accesso al credito, integrazioni al reddito dei lavoratori coinvolti dalla sospensione delle attività produttive, contributi assistenziali per determinate categorie di cittadini e per le famiglie. Nello specifico questi interventi hanno riguardato soprattutto l’Italia, con sovrapposizioni normative anche da parte delle Regioni.
Sulla caratteristica più strutturale e incisiva, necessaria a contrastare una recessione probabilmente a due cifre, in Europa si discute ancora se mutualizzare i cospicui interventi finanziari da immettere nel circuito economico dei diversi Stati, soprattutto quelli più colpiti dalla emergenza sanitaria, o se adottare strumenti che ne riversino in gran parte il costo sui singoli Paesi. Il ritardo degli adempimenti è notevole, soprattutto per la dimensione delle dinamiche negative che l’emergenza sanitaria ha messo in moto nei meccanismi produttivi dell’intera Europa, la cui integrazione economica e sociale non consente zone franche al contagio del virus e pure a quello della recessione.
Il debito che si alimenta a seguito dell’emergenza se lo deve accollare ciascun Paese; è questo l’imperativo della Germania e degli stati del nord. Italia, Francia, Spagna e Grecia sostengono invece , o almeno sostenevano, che siccome l’impatto della crisi è generale l’Europa lo deve affrontare e risolvere con un’unica strategia, e con risorse da attingere dal bilancio europeo, evitando così che il costo finanziario della ripresa economica si riversi sull’indebitamento dei singoli Stati. È chiara la diversa impostazione. Ad oggi pare s’imponga la regola che, in Europa, chi ha i problemi se li deve pure risolvere da solo. Una soluzione che di fatto disintegra lo spirito costitutivo dell’Unione e che ripropone con forza e cinismo una concezione divisiva e di competizione, piuttosto che solidaristica e unitaria. Una scelta diversa fu adottata per consentire la riunificazione della Germania, cui partecipò, e con non pochi oneri, anche il nostro Paese. Un altro Stato che si oppone alla concezione mutualistica è l’Olanda, che non avrebbe titolo alcuno a imporre lezioni di buon governo, considerato che è diventata un vero paradiso fiscale, e sul quale l’Unione dovrebbe intervenire per evitare che le multinazionali continuino a spostare miliardi di utili nei Paesi Bassi, piuttosto che dichiarare i profitti nelle nazioni dove sono stati generati.
Dunque per il momento si attende che l’Unione Europea e l’Italia mettano in campo una strategia di contenimento della crisi economica e produttiva, e , insieme,misure utili ad avviare nel breve e medio periodo una fase espansiva. Non sarà facile per l’Italia, perché gli investimenti necessari dovranno essere molto consistenti, mentre le risorse finanziarie disponibili, senza l’apporto solidale dell’Europa, sono poche e il debito pubblico cui fare fronte enorme.
In attesa di verificare gli sviluppi, la Sardegna non può stare a guardare. Lo stato della sua economia non le consente comportamenti attendisti o arroccati nella dimensione, pure indispensabile, degli interventi assistenziali e di tamponamento. Nell’immediato è pure prioritario tenere in piedi le imprese e il tessuto produttivo messo a dura prova dall’emergenza sanitaria e dalla sospensione dell’attività, immettendo liquidità nel sistema, e non solo attraverso le facilitazioni sulle garanzie di accesso al credito, ma riducendo anche una parte dei tributi di competenza regionale, e abbattendo il costo degli interessi sul debito. Un altro urgente obiettivo che la Regione deve attuare in tempi rapidi è l’accelerazione della spesa su tutti i capitoli riguardanti soprattutto i fondi europei, e l’immediato disbrigo delle pratiche di pagamento sui crediti delle società,anche attraverso la sburocratizzazione e semplificazione delle procedure.
Il Programma regionale di sviluppo e il Bilancio devono essere ora riorientati, alla luce della situazione di recessione e di emergenza sanitaria e produttiva, con una nuova manovra di dimensione e indirizzi straordinari verso nuovi investimenti, in una scansione pluriennale,e che dunque devono trovare collocazione per il 2021 nel prossimo Documento Economico e Finanziario, prima dell apredisposizione del Bilancio per il prossimo anno.
In questa programmazione fondamentale diventa il finanziamento dello sviluppo infrastrutturale e della innovazione tecnologica e digitale. Il rafforzamento della rete dei servizi pubblici diventa altresì improcrastinabile, anche per l’esperienza maturata negli ultimi mesi di emergenza da Covid19. Si tratta infatti di migliorare gli organici del sistema socio-sanitario con le assunzioni di operatori indispensabili alla prevenzione e cura, soprattutto nell’assistenza domiciliare, nei controlli della RSA e delle case di riposo, nella non autosufficienza e nell’assistenza a domicilio, nell’accompagnamento e nella tutela minori. Altro e primario obiettivo riguarda la istituzione di un Fondo pluriennale per la formazione professionale e la digitalizzazione del sistema e l’aggiornamento del personale , insieme al rafforzamento della dotazione informatica delle scuole.
In questa direzione bisogna però cantierare subito le risorse disponibili, e reperirne altre manovrabili e aggiuntive rispetto a quelle appunto attualmente riportate nei capitoli di spesa regionali, nazionali ed europei del Bilancio recentemente approvato. Le somme derivanti dalla riprogrammazione di parte dei Fondi strutturali (FESR e FSE) non sono infatti sufficienti a coprire neppure una minima parte degli interventi necessari.
Il ricorso poi alla Banca Europea degli investimenti riguarda pur sempre una operazione di indebitamento che, pur dilazionata in tempi lunghi e a interessi ancora da valutare, non risolverebbe il problema di molte aziende. Infatti per le difficoltà conseguenti all’attuale crisi un gran numero di società isolane non potrebbe ricorrere allo strumento che la Regione pare stia negoziando con la BEI, che tra l’altro coprirebbe solo fino al 50% del costo del progetto.
Dunque restano poche strade per immettere nel sistema produttivo sardo una quantità adeguata di risorse finanziarie da parte della Regione, per una strategia integrativa a quella che dovrebbe attivare sia lo Stato che la Unione Europea, e senza gravare pesantemente sul bilancio delle imprese e sulle tasche dei cittadini : la contrazione di mutui per investimenti, l’autorizzazione a superare lo scoglio del pareggio di bilancio, e dunque la scelta di operare in disavanzo, il via libera dello Stato per mutui da utilizzare per la spesa corrente, e soprattutto un obiettivo, valutando anche i tempi necessari, che ogni tanto appare e scompare come un fantasma, ma che risolverebbe, se raggiunto, la gran parte dei problemi di disponibilità di risorse finanziarie. Parliamo della rinegoziazione con il Governo nazionale dei costi della sanità e del trasporto pubblico locale, tutto a carico della Regione dal 2006, e diversamente dalla quasi totalità delle altre Regioni. Una storia del rapporto con lo Stato molto triste e in perdita, di cui renderemo conto in altro articolo.
Ora si tratta dunque di reggere il colpo della crisi e di creare le condizioni per la ripresa, certamente con le forze e le disponibilità che si hanno, ma interagendo con lo Stato e l’Unione Europea per segnare qualche punto a favore di un incremento di risorse finanziarie e di riconoscimenti tangibili di alcuni diritti della Sardegna. Insieme agli investimenti necessari bisogna però avere, come già evidenziato, una strategia e obiettivi di medio e lungo periodo; cioè quale Sardegna pensiamo di poter ragionevolmente costruire, partendo dalle difficoltà e dai rapporti di forza in campo.
C’è il sogno della vera Autonomia istituzionale e dell’autogoverno, non concretizzato per vincoli esterni e limiti tutti interni all’Isola, e l’obiettivo, ancora lontano, di una transizione dallo sviluppo senza autonomia, finanziato dal debito e dai trasferimenti della Pubblica Amministrazione, a un sistema regionale che produca ricchezza, che dia garanzia di un reale potenziamento di tutti i fattori della produzione, insieme ad un’equa e più diffusa distribuzione della ricchezza, a un miglioramento della qualità della vita e della libertà individuale e collettiva.
In questa direzione la precondizione più importante è l’abbattimento delle diseconomie interne ed esterne al processo produttivo. Questo implica una riduzione dei divari nella crescita delle imprese sarde con quelle nazionali, intervenendo sui costi dell’energia, sui trasporti interni ed esterni, sul sistema delle reti. Ma qui c’è il nodo irrisolto del rapporto con la unione Europea e con lo Stato circa il riconoscimento dello status di insularità. Un obiettivo che va perseguito con maggiore forza e determinazione dall’intero sistema Sardegna.
Due questioni vanno inoltre affrontate in termini radicali: l’assetto istituzionale dell’Isola e un ruolo diverso della Regione che deve ridisegnarsi trasferendo risorse e poteri ai Comuni e all’Ente intermedio, e un forte e diffuso progetto sul sapere teorico, tecnico e sulla cultura, attraverso la filiera della scuola, della formazione professionale, della Università e della Ricerca. L’obiettivo è di creare e immettere il valore aggiunto della conoscenza nel sistema sociale e produttivo, e per promuovere, anche attraverso le competenze, i gruppi dirigenti adeguati alle nuove complessità economiche, sociali e istituzionali.
Certo, si è di fronte a obiettivi che richiedono capacità e risorse finanziarie, e pure in un contesto di difficoltà enormi, per le dinamiche messe in moto dal coronavirus e per una situazione economica pregressa negativa. Per questo c’è chi propone di essere realisti e di camminare con il “passo del montanaro”, stando cioè attenti alle insidie del terreno e della natura. Ma pensare in piccolo e in grande costa probabilmente la stessa fatica, e senza grandi obiettivi da contrapporre alle complesse dinamiche mondiali e ai mutamenti epocali in corso la Sardegna rischia di non agganciarsi neppure all’ultimo vagone della storia e di vivacchiare in una totale dipendenza produttiva, economica e istituzionale.
Proprio per quel che il mondo ora sta vivendo con un virus che condiziona la vita, la libertà e il lavoro, vale quel che scriveva anni or sono Padre Ernesto Balducci per altri momenti di difficoltà del pianeta: “ ..Noi siamo dal punto di vista antropologico in una dura esperienza del tramonto...” Si tratta di vivere sino in fondo questa esperienza per trovare l’accesso ad una possibile alba della storia umana”.I passaggi decisivi indotti da grandi cambiamenti necessitano appunto di concretezza e decisione, ma inseriti in un “ sogno” che, nel rifiutare una realtà negativa, predispone a un percorso di positive trasformazioni.