di Pietro Borrotzu e Mario Medde
Associazione "Carta di Zuri"
Il 2013 è stato l'anno peggiore nella storia dell'autonomia speciale della Sardegna. Certamente sul versante sociale ed economico, che ha registrato un numero di disoccupati intorno alle 150.000 unità, compresi quanti si sono scoraggiati nella ricerca del lavoro, e un tasso di disoccupazione giovanile che è vicino al 42%, frutto amaro di una lunga fase recessiva che trova origine sia nella crisi finanziaria e produttiva mondiale che negli storici e irrisolti problemi dell'Isola. Le enormi difficoltà dell'industria, dell'agricoltura e dell'allevamento sono alla base dell'impoverimento della Sardegna, un fenomeno reso visibile dall'enorme numero di persone coinvolte, circa 350.000, e da redditi familiari più bassi del 27% rispetto al Nord.
Ma quel che ancora di più segna in negativo il 2013 è la caduta, che oggi appare irreversibile, della massima istituzione dell'autonomia, l'Ente Regione. Un crollo che non è certo arrivato all'improvviso, considerata l'agonia che ha accompagnato la vita dell'autonomia speciale negli ultimi due decenni. Oggi si sono però sciolte come neve al sole tutte le strutture che reggevano l'impalcatura dell'autonomia, non solo per la loro obsolescenza, ma perché travolte da una crisi senza precedenti e dall'incapacità di fare fronte alle domande di tutela che provengono dalle diverse categorie e territori dell'Isola, e soprattutto da una debolezza e mediocrità delle leadership politiche e istituzionali, frutto della crisi della rappresentanza e della mediazione politica e causa prima dell'autoreferenzialità e della questione morale ed etica in Regione.
Dunque, un 2013 che non solo non ha prodotto positivi cambiamenti nelle difficili condizioni di vita e di lavoro dei sardi, ma che ha visto distruggere quel poco che restava della credibilità della politica e della autonomia e specialità. Un colpo terribile all'idea stessa di autogoverno, che però resta indispensabile in una visione e pratica della moderna sovranità, per guidare la Sardegna fuori dalla marginalità politica e istituzionale e dalla dipendenza economica e produttiva.
In questa direzione non esiste semplicemente una questione etica, comunque da affrontare e risolvere al più presto, ma un problema di ben più vasta portata che riguarda il progetto di società e istituzioni che si vuole realizzare in Sardegna. Su quali valori e obiettivi fondare cioè l'interesse generale e su quali diritti e doveri attestare un progetto di bene comune. La rottura della coesione sociale e la parcellizzazione e frantumazione delle identità rappresenta un pericolo cui bisogna mettere riparo, ricostruendo prima di tutto un tessuto solidaristico incentrato sulle tutele sociali e sul diritto al lavoro.
Il 2014 inizia ereditando tutto questo, e, insieme, mentre la Regione Titanic affonda, la rincorsa disordinata e a tratti violenta a occupare i posti, chi in coperta e chi al timone, senza neppure curarsi di quanto si è ina-bissata la nave e di quanti sono stati già travolti dalle onde o stanno per affogare. Anzi c'è chi continua a danzare udendo solo la musica e non le urla di chi ha già l'acqua alla gola.
Prepariamoci, dunque, ciascuno per la responsabilità che esercita, da cittadini e sardi, a contribuire a costruire una nuova Sardegna, con nuove istituzioni che realmente e concretamente rappresentino la domanda di autogoverno, sviluppo, lavoro e lotta alle povertà.