di Mario Medde

A proposito di elezioni primarie e di candidati al Consiglio regionale

L’aver declinato l’autonomia speciale solo come rivendicazione verso lo Stato, e in termini essenzialmente economicistici, ha condizionato negativamente non solo una sua più adeguata evoluzione e pratica, ma ha rappresentato, al di là delle oggettive debolezze, un forte alibi  per i gruppi dirigenti che, salvo e riconosciute eccezioni, non si sono mai posti il problema di come questa pur parziale conquista interrogasse anzitutto i loro principi e valori, cioè la volontà e la capacità di produrre loro stessi autonoma elaborazione, indipendenza di giudizio, rispetto della sedimentazione storico-culturale della rappresentanza, autonoma cultura e pratica capacità di governo.

Come scrisse Emilio Lussu, in un saggio pubblicato in un quaderno di “Giustizia e Libertà” (marzo 1933) dal titolo “Il federalismo”, e ripreso da Giuseppe Podda nel suo “La Nazione mancata”, l’autonomia «è coscienza di sé stessi, consapevolezza della propria funzione, conquista e difesa delle proprie posizioni etiche, sociali e politiche che consenta il più ampio sviluppo delle proprie capacità, individuali e collettive, in ogni campo. Ciò presuppone fiducia nelle libere e spontanee iniziative popolari e attribuisce al popolo capacità creative».

Una questione ancora del tutto aperta e che attende risposte non solo dalla politica, ma anche da altri e importanti gangli vitali del sistema economico e sociale della Sardegna; sia che la specialità evolva verso un più moderno e adeguato autogoverno, sia che ancora ristagni nelle code declinanti dell’autonomismo e verso la ordinarietà e l’omologazione.

Nei fatti si è pensato, e si continua a farlo, che l’autonomia riguardasse il comportamento dello Stato, e non anche e soprattutto i soggetti che comunque, al di là dei molteplici vincoli, vivevano quella condizione sul versante sia individuale che collettivo e giuridico. Ancora oggi, gran parte dei gruppi dirigenti, a tutti i livelli, con maggiore ed enorme responsabilità di quanti governano la cosa pubblica, non esercitano con la dovuta compiutezza l’autonomia di analisi, di valutazione e comportamento. “Truncare sas cadenas” si diceva un tempo  per affermare l’idea che la Sardegna dovesse superare la condizione di dipendenza. La verità è che la prima dipendenza riguarda proprio i vincoli che condizionano l’autonomia delle leadership nel promuovere le basi dell’autogoverno; cioè la concreta capacità di proteggere, difendere, sviluppare i diritti dei sardi, delle comunità e dei territori della Sardegna.

Autogoverno è prima di tutto la concreta e realizzata autonoma capacità di acquisire e gestire le risorse, per distribuirle in modo equo ed efficiente in tutti settori della vita individuale ed associata.

Oggi, al di là della crisi economica che rappresenta a livello europeo e mondiale un’obiettiva difficoltà, si è lontani anni luce da questa condizione.

Si è di fronte a un evidente logoramento delle istituzioni e a una cultura di governo dei problemi dell’Isola ben lontana da quell’autonomia di pensiero e di comportamento che è il necessario presupposto per un più adeguato autogoverno della Sardegna e per promuovere nuovo lavoro e sviluppo.

Non è qui in discussione il concetto di mediazione e regolazione, ma l’idea che si possa mediare e regolare prescindendo da valori e competenze anche personali.

La crisi della politica è anche crisi della selezione dei gruppi dirigenti e dei canali di collegamento con la società.

Certo, si sono modificate le categorie politiche, economiche e sociali che davano linfa e razionalità all’autonomia, così come storicamente è stata rivendicata e attuata nella dimensione della specialità; è cambiato lo Stato, ma quanto c’è di nostro, dei nostri vincoli e ritardi, di dequalificazione della rappresentanza politica e istituzionale nel fallimento dell’autonomia?

Nell’autonomismo e nell’Autonomia sarda non c’è solo un vizio di origine che ne ha negativamente condizionato la definizione e l’attuazione: come ben ci ammonisce Emilio Lussu, «l’autonomia sta al federalismo come, nella famiglia dei felini,  il gatto sta al leone».

C’è anche molto altro che riguarda i comportamenti individuali e collettivi, i gruppi dirigenti, le modalità di selezione delle leadership, la capacità attuativa, i meccanismi della rappresentanza che degenerano verso il modello della “moneta cattiva che scaccia quella buona”.

Tutto questo mi viene in mente a proposito di primarie, elezioni e candidati per il rinnovo del Consiglio regionale.