di Mario Medde

La storia del sindacato sardo è una storia di conflitti e partecipazione, soprattutto per quel che riguarda la programmazione dello sviluppo e la promozione del lavoro da parte della Regione Sardegna. Gli atti della programmazione regionale sono stati, e lo sono tutt’ora, il terreno di scontro e confronto con le diverse Giunte regionali. Alcune riflessioni sono necessarie per rafforzare l’iniziativa sociale e sindacale e la stessa partecipazione alla programmazione e attuazione degli obiettivi dello sviluppo e alla promozione di maggiori e migliori opportunità lavorative.

La Legge regionale n. 11 del 2006 individua gli strumenti della programmazione economica e finanziaria della Regione Sardegna. Il Programma di Sviluppo Regionale è quello fondamentale. Programma e non Piano; infatti, in linea generale, il Piano individua obiettivi tra loro interconnessi, il Programma ha una caratteristica più operativa evidenziando anche gli strumenti e la copertura finanziaria.

Il Programma approvato dalla Giunta regionale, di cui si conoscono per il momento solo alcune informazioni, consterebbe di 600 pagine (così si legge sui mass media), e a leggere l’elenco degli obiettivi comunicato alla stampa si presenta con una notevole ambizione. Dieci assi programmatici e 17 miliardi e 670 milioni per finanziare obiettivi e azioni fino al 2029. Per il momento sono stati programmati 3 miliardi e 753 milioni. Gli assi individuati sono i seguenti: Sanità, Politiche sociali, Buon lavoro, Conoscenza e cultura, Governo del territorio, Ambiente e paesaggio, Trasporti e reti tecnologiche, Transizione energetica, Sviluppo economico e sociale, Nuovo sistema Sardegna (cantiere riforme e nuovo attivismo politico nei confronti dello Stato).

Il Programma di sviluppo andava approvato entro 180 giorni dall’inizio della legislatura. Cioè nel mese di ottobre 2024, per approvare poi il DEFR ed entro il 31 dicembre 2024 la manovra economica e finanziaria. Ora si è al terzo mese di esercizio provvisorio, con le conseguenze che ciò determina sulla programmazione e sulla spesa. È questo un rilievo che porta a discutere sulla efficienza ed efficacia dell’Ente Regione e sulla capacità di attuare i programmi e i progetti e di garantire il rispetto dei tempi anche nella spesa delle sue risorse finanziarie. Si pensi all’enorme avanzo di cassa registrato dalla Regione nel 2023, circa 3 miliardi e 620 milioni. Non serve neppure affermare che per la gran parte si trattava di risorse comunque impegnate. Anzi, questo semmai aggrava la responsabilità della politica. Una inefficacia della Regione che riguarda altre fondamentali fonti di finanziamento in grande ritardo di attuazione e spesa, come ad esempio Il PNRR e i Fondi strutturali europei 2021-2027.

Nel valutare i documenti della Programmazione la domanda che ci si pone, ancor prima di entrare nel merito degli obiettivi, riguarda dunque il rispetto del cronoprogramma e la capacità e i tempi di spesa.

Per quanto riguarda il Programma di sviluppo 2024-2029 si è di fronte a obiettivi molteplici e ambiziosi; ma i tempi di attuazione si sono ridotti in termini consistenti, escludendo ovviamente il 2024 e i primi 4 mesi del 2025, e valutando ovviamente che le elezioni della prossima legislatura si terranno nei primi mesi del 2029. Praticamente la vigenza del Programma sarà all’incirca di tre anni e mezzo. Un ragionamento che obbliga a indicare non solo gli obiettivi possibili e praticabili, ma anche la reale copertura finanziaria e il relativo cronoprogramma. Un tema fondamentale è la reale autonomia finanziaria della Regione e la massa manovrabile in sede di legge di stabilità e di Bilancio, prescindendo ovviamente dalle risorse provenienti dall’Europa e dallo Stato. A tal fine un obiettivo primario è la riapertura del confronto Stato-Regione sia sulla consistenza delle compartecipazioni erariali e tributarie, sia sulla entità della partecipazione della Regione alla riduzione del debito pubblico, sia sul recupero attraverso l’intervento dello Stato dei costi della insularità. Obiettivi tutti che riguardano le pari opportunità con le altre regioni del Paese e il recupero di storiche e irrisolte questioni di arretratezze e ritardi di natura infrastrutturale materiale e immateriale. Da notare per inciso che, pur essendo ormai caduta nel dimenticatoio politico e istituzionale, la Rinascita resta pur sempre uno strumento e un obiettivo costituzionale.

Una prima verifica sul Programma si potrà avere a partire dal DEFR, dalla Legge di stabilità e dalla intera manovra finanziaria e di bilancio che verranno discussi nel mese di marzo, al terzo mese di esercizio provvisorio.

In vista della partecipazione del Sindacato a questi fondamentali atti della Regione e per un fattivo confronto sarebbe stato indispensabile che la Giunta regionale avesse consegnato i documenti prima dell’invio al Consiglio. Un appuntamento ormai impossibile, dato che gli atti dell’intera manovra sono già transitati in Consiglio regionale. Si può solo sperare nella benevolenza dei consiglieri per approvare qualche emendamento; cosa ben diversa dal confronto e dalla concertazione in sede di predisposizione degli atti, sia quelli della programmazione dello sviluppo che quelli finanziari e di bilancio.

Infine, a questo proposito, è utile ricordare che il Programma Regionale di Sviluppo (PRS) venne istituito con la Legge regionale n.11 del 2006. Una revisione delle norme in materia di bilancio e di contabilità della Regione Autonoma della Sardegna che non riguardava solo gli aspetti della gestione finanziaria, ma anche la nuova programmazione regionale dello sviluppo. Eppure, nell’articolato allora approvato in Consiglio regionale non si trova traccia delle riflessioni e delle esperienze maturate in Sardegna circa la programmazione come metodo ordinario di governo e il ruolo della partecipazione sociale, economica e istituzionale nella costruzione dei piani e dei programmi di sviluppo. Cosa che contestammo come Sindacato, e che per diverso tempo portò a un aperto conflitto con la Giunta regionale che rifiutava il confronto con le parti sociali ed economiche.

Si tratta anche oggi di capire cosa resta dei principi della legge regionale n. 33 del 1° agosto 1975, recante Compiti della Regione nella programmazione e che relazione e incidenza hanno gli articoli ancora vigenti di questa norma nella Legge n. 11. Nella relazione di maggioranza che accompagnava il testo unificato di riforma si scriveva che «… il programma regionale di sviluppo costituisce il terreno per la realizzazione di una politica concertata tra le forze politiche e sociali per la definizione delle opzioni nell’utilizzo delle risorse, nella costruzione del modello di sviluppo, nel coordinamento degli investimenti pubblici e privati e nella gestione del territorio, nella pianificazione degli interventi sociali, formativi e scolastici. Per essere ancora più chiari il programma regionale di sviluppo è quella pietra angolare che può finalmente consentire la costruzione reale e piena dell’autogoverno regionale, attraverso forme nuove e sempre più ampie, ma non per questo meno produttive, di democrazia partecipata».

Eppure, questo concetto non trova riscontro alcuno negli articoli della Legge n. 11, che omette di riportare il principio e il percorso partecipativo sottolineato invece negli articoli 1 e 3 della legge regionale n. 33 del 1° agosto 1975. Nella riforma la programmazione dello sviluppo diventa quasi un’appendice della dimensione finanziaria e sembra assente l’idea di un progetto economico partecipato e condiviso per il presente e per il futuro. Questo, però, può essere approntato solo se accanto alla questione delle risorse e degli strumenti si definisce il ruolo e la funzione della rappresentanza e della rappresentazione dei bisogni, che hanno un’influenza determinante nell’accumulazione della ricchezza e nella sua equa distribuzione.

L’impressione che si ha, anche negli ultimi tempi con maggioranze diverse, e che vorremmo venisse fugata, è che l’idea dello sviluppo sia strettamente connessa solo a un processo dirigistico e centralizzato e che le compatibilità finanziarie non si accompagnino alle compatibilità sociali. Invece, una nuova fase di solidarietà, uguaglianza e progresso sociale, ovviamente accompagnata alla crescita economica, deve prevedere una programmazione che assuma i principi della sussidiarietà, certamente dell’adeguatezza dei soggetti, ma - anche e soprattutto - della dimensione partecipativa delle rappresentanze sociali, economiche e degli enti locali. In questa direzione è infatti importante utilizzare e valorizzare tutti i fattori e le risorse che agiscono nei territori e gli aspetti più positivi della nostra cultura.

Si tratta cioè di liberare gli «spiriti positivi» della nostra società, cioè di quella sarditude (come sentimento identitario di appartenenza etnica, linguistica e culturale) che non contiene solo vincoli da superare, ma anche enormi potenzialità da aprire al mondo. La programmazione e gli obiettivi dello sviluppo (il PRS) non possono dunque essere assorbiti e trattati solo come un tassello della legge di contabilità, o come un mero obbligo formale da rispettare, ma come un elemento prioritario e fondamentale del nuovo modello di democrazia in Sardegna, che anticipa un tema che avrà senz’altro grande centralità nella riscrittura del nuovo Statuto Speciale. Qualora la Regione e la politica sarda trovino modo, tempo e forza di rilanciare questo obiettivo.