di Mario Medde

Lo stato del servizio sanitario in Sardegna è senz’altro pessimo e agli ultimi posti, quanto a qualità, tra le regioni del Paese. I dati sono ormai conosciuti e comunque i problemi sono vissuti sulla pelle della gran parte della popolazione. Ne denunciano inoltre  da tempo le criticità i mass media, gli operatori del settore e le Organizzazioni sindacali. Eppure, da parte della Regione, che ha competenze primarie e che si è accollata nel mandato 2004-2008  i costi della sanità, diversamente dalle altre regioni, non risultano iniziative utili quanto meno ad affrontare i problemi più impellenti. Si manifesta una sorta di impotenza, quasi a riconoscere l’impossibilità della massima istituzione della Sardegna di individuare almeno alcune proposte utili a dare positivi segnali di cambiamento.

Eppure questo non solo è auspicabile, ma anche possibile. Si tratta di intervenire su un sistema che per anni è stato terreno di occupazione della politica e che ancora oggi presenta intrecci e contiguità che ne bloccano o condizionano le scelte e il rinnovamento, di individuare gli ambiti di intervento e le priorità, di non farsi condizionare dalle potenti lobby  degli interessi  e di corporazione, di garantire capacità nel dirigere le scelte e i progetti di cambiamento, soprattutto sul versante politico, e di assumere, come si diceva un tempo, la pratica dell’obiettivo con la necessaria determinazione e continuità. Certo, l’interrogativo che ci si pone è se sia possibile correggere le storture del sistema dei servizi sanitari da parte di chi in realtà per anni ha contribuito a crearle.

Anche per questo è indispensabile mettere in campo una forte e diffusa iniziativa sociale e politica. Sul versante sociale, in continuità con le continue denunce sui disagi e sulle sofferenze dei cittadini per un diritto di cittadinanza negato, la sanità e la tutela della salute devono essere oggetto di una vera e propria vertenza con la Regione Sardegna. Con tutto ciò che questo comporta in termini di metodo e azione, per smuovere  l’impasse della rappresentanza del Governo sardo e per pervenire quindi a vere e tempestive scelte e atti di cambiamento.

D’altronde, vista la situazione, solo con la mobilitazione e il pressing sociale sarà possibile rimuovere le rendite di posizione e determinare scelte in grado di dare qualità all’offerta di servizi sanitari all’altezza appunto della domanda che proviene dai cittadini sardi. Certo c’è una forte denuncia della stato di crisi della sanità, e talvolta le parole sono pietre, ma in questo momento è necessario mettere in campo autonomia di giudizio e di comportamento, capacità di pensiero e proposta e un’ azione rivendicativa con tutte le procedure previste in questo caso, ivi comprese le azioni di mobilitazione  e lotta. Caratteristiche e intenti che appartengono indubbiamente al sindacato confederale.

Gli ambiti di intervento e gli obiettivi fanno già parte della proposta delle rappresentanze sociali; prioritariamente e in sintesi si tratta di rivendicare:

1) Gli interventi immediati sulle criticità che penalizzano fortemente la vita e la salute dei cittadini.

2) La revisione dei provvedimenti riguardanti la governance, la rete ospedaliera e la medicina territoriale, il potenziamento del Piano regionale dei servizi alla persona.

3) La disdetta e ricontrattazione dell’accordo del 2005 tra Regione e Stato, e relativo ai costi della sanità in capo alla prima, cioè alla Regione Sardegna.

4)  L’eliminazione del numero chiuso nell’accesso alla facoltà di medicina e una riforma della formazione post laurea, atteso che le scuole di specializzazione non rispondono più alle necessità dell’ingresso nel sistema sanitario.

Sul primo punto è urgente e non più rinviabile risolvere il problema delle liste d’attesa, sia quelle specialistiche che di ricovero. La soluzione passa attraverso un consistente potenziamento degli organici in tutti gli ambiti del sistema, a partire dai medici e da un incremento degli investimenti sia sul personale che sulle attrezzature e sull’edilizia sanitaria. Altrettanto importante è un intervento di natura contrattuale sugli emolumenti a favore del personale e sulla congruità degli orari di lavoro. Non secondaria è una rivisitazione delle convenzioni con il sistema privato-convenzionato per garantire un servizio di supporto che non gravi sulla disponibilità finanziaria del cittadino. Così come si rende indispensabile una revisione dell’intra moenia per evitare che questo servizio non rappresenti un ulteriore salasso a danno dell’utenza e per favorire i progetti di recupero delle liste d’attesa. Scelte fondamentali, organici da rafforzare e stipendi, anche per garantire il ripristino del servizio sanitario con i medici di famiglia in tutte le comunità.

Sul secondo punto è ormai evidente il fallimento delle scelte effettuate da anni, con la riduzione e in certi casi l’azzeramento della rete ospedaliera territoriale, sia per gli annosi tagli apportati al settore sanitario, sia perché ora non sta dando esiti positivi il modello Hub e Spoke.

La rete ospedaliera prevede strutture di secondo (Hub, letteralmente mozzo) e primo livello (Spoke, letteralmente raggi) e ospedali di comunità. Il modello Hub e Spoke è preso in prestito da altre realtà e segue l’esperienza della logistica delle reti di distribuzione delle merci e della rete di sviluppo delle compagnie aeree. La struttura Hub è un centro di riferimento anche con specifiche e alte professionalità e servizi sanitari, la struttura Spoke ha funzioni ospedaliere di base e di integrazione con i servizi distrettuali.

Si tratta di rilanciare i tradizionali servizi ospedalieri nei territori, attivando nel contempo i distretti socio-sanitari con tutti i servizi e il personale necessario. Solo così infatti si potranno decongestionare le così dette strutture Hub, con alte specializzazioni e professionalità. Circa le Aziende ospedaliere universitarie e la istituzione di ICCRS (Istituti di Ricovero e Cura  a Carattere Scientifico) è indispensabile e prioritario un confronto con gli operatori, le Organizzazioni di rappresentanza sociali e professionali, gli stessi Enti Locali e la Regione.

Circa il Piano dei servizi alla persona, gli interventi previsti riguardano gli anziani, le disabilità, la famiglia, l’inclusione, i PLUS (Piano locale unitario dei servizi attraverso i Comuni), il Terzo settore.

È senz’altro positivo che si sia proceduto a un aggiornamento del Piano, ma la necessità che si pone riguarda una stretta connessione anche con la programmazione socio- sanitaria. Si tratta infatti di garantire, quando necessario, una integrazione tra i due sistemi, un incremento delle risorse finanziarie per gli anziani (a partire dall’assistenza domiciliare integrata), per la famiglia e l’inclusione.

Diventa inoltre urgente la revisione del REIS, con l’incremento del sostegno finanziario, l’inserimento del vincolo di partecipazione ad attività formative e di aggiornamento e di accettazione dell’ inserimento lavorativo anche con lavori di utilità sociale.

Altrettanto rilevanti sono i seguenti obiettivi:  il potenziamento delle  misure di lotta alle povertà, attraverso specifiche politiche di inserimento lavorativo e di politiche attive e formative da concordare con l’assessorato del lavoro, un riequilibrio tra le diverse fonti di finanziamento regionali, statali e UE, una copertura finanziaria aggiuntiva per i progetti PLUS, onde evitare l’eccessivo utilizzo delle  strutture organizzative del Comune capofila che è spesso causa di difficoltà gestionali.

Con la Legge regionale dell’11.09.2020 viene istituita una nuova governance del sistema sanitario che riporta nel territorio le Aziende Sanitarie per la presa in carico del paziente e per la prestazione sanitaria, mentre un azienda centralizzata si fa carico della parte amministrativa e con l’obiettivo di creare economie di scala. Le ASL sono ripartite in 24 distretti socio-sanitari, con un Comitato di Distretto composto dai sindaci. I Dipartimenti individuati sono 4, prevenzione medica, veterinaria, psicologia di cure primarie (sperimentale), salute mentale. Ma non viene affrontata in modo adeguato la centralità del territorio, le risorse a ciò necessarie e il personale da rafforzare negli organici, pur assegnando l’autonomia alle  nuove ASL. È questo un aspetto che bisogna affrontare in una specifica revisione normativa, che deve riguardare anche un ruolo e un potere adeguato alle Conferenze socio-sanitarie, pure con la partecipazione delle forze sociali.

Sul terzo punto è necessario e urgente che la Giunta regionale attivi un confronto con il Governo nazionale per rivedere un accordo insostenibile per le disponibilità della Regione, per le risorse utili a rilanciare il sistema sanitario, per i vincoli nazionali che comunque pesano, a dispetto dei costi sostenuti dai sardi, sulla gestione del settore.

Sul quarto punto, relativamente al numero chiuso nella facoltà di medicina, pur trattandosi di scelte che attengono al Governo nazionale, è indispensabile avviare un forte pressing con adeguata iniziativa politica e istituzionale. Infatti, la Sardegna è una delle regioni che paga un prezzo ormai insostenibile per la carenza di personale medico, sia nella medicina di base e familiare, sia negli ospedali che nella specialistica. Circa le scuole di specializzazione va sottolineato che servono maggiori investimenti, orari e trattamenti da aggiornare, migliorando anche le verifiche sulla qualità e sui curricula formativi.