di Mario Medde

La Sardegna vive una fase tra le più difficili della sua storia autonomistica. Il lavoro e la questione sociale sono l'epicentro di questa crisi. Le stesse istituzioni dell'autonomia speciale non riescono più a interpretare i bisogni e le aspettative dei sardi. Si rende dunque urgente e indispensabile un profondo cambiamento nelle scelte dello sviluppo, del lavoro e delle riforme istituzionali.

Al centro del dibattito tre questioni fondamentali:

◙ Il lavoro, le istituzioni e la Sardegna nella crisi economica e sociale

◙ L'autonomia e il suo futuro

◙ Lo statuto della Sardegna e il nuovo patto costituzionale con lo Stato

Proprio per la dimensione dei problemi che la Sardegna vive, questo è il tempo della politica, nonostante la sua crisi e la scarsa presa presso l'opinione pubblica, è indispensabile che venga rilanciata nella versione più nobile, che è quella della partecipazione e del servizio a idee e valori di positivo cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro della persona.

GLI INDICATORI DELLA CRISI DELL'ISOLA: DISOCCUPAZIONE, REDDITO, POVERTÀ

Al termine del primo decennio del 2000, la drammaticità della situazione economica e sociale della Sardegna è impietosamente rappresentata da alcuni indicatori tra loro strettamente correlati: disoccupazione, reddito, povertà.

Infatti, la debolezza strutturale del sistema produttivo isolano, aggravata da un contesto di crisi generalizzata, e alcune diseconomie che affliggono endemicamente la nostra re-gione, determina una scarsa domanda di lavoro, bassi redditi, elevata incidenza della povertà relativa.

Sul lavoro, le ultime rilevazioni disponibili dell'ISTAT per il 4^ trimestre 2011 registrano un tasso di disoccupazione complessivo pari al 16,3%, valore nettamente superiore a quello medio nazionale.

Ma nel momento in cui andiamo a prendere in considerazione la disoccupazione implici-ta, che comprende le persone inoccupate o disoccupate disponibili a lavorare, ancorché non rispondano ai parametri stringenti dettati dall'Eurostat per rientrare nelle forze lavoro, il tasso di disoccupazione praticamente si raddoppia, salendo al 24,9%.

Le persone coinvolte e che in parte sono interessate da quel fenomeno dello «scoraggia-mento» sono, infatti, 206 mila, valore che si avvicina anche ai dati delle liste anagrafiche censiti nei centri per l'impiego.

Un numero particolarmente importante, che certifica il fatto che quasi 1 sardo su 4 non trova lavoro.

I dati, poi, attestano che se ci si limita alla disoccupazione giovanile (fascia 15/24 anni), il tasso raggiunge livelli da record in ambito nazionale: rispetto al valore medio del 25%, il dato regionale è stato pari al 44,7%, il più elevato di tutte le regioni italiane, comprese quelle del Mezzogiorno che, storicamente, hanno registrato valori più negativi di quelli della Sardegna. da questo fenomeno si è assestato su livelli solo leggermente più bassi.

La cronica carenza di lavoro è strettamente connessa alla produzione per abitante.

L'andamento della ricchezza prodotta pro capite della Sardegna, infatti, registra nel decennio trascorso performance decisamente negative.

I dati recentemente pubblicati dall'Eurostat sul PIL procapite espresso in potere di acqui-sto standard evidenziano fondamentalmente due aspetti:

- fatta 100 la media europea dell'Unione a 27, la Sardegna si attesta a un valore pari a 79, al di sopra delle altre regioni del Sud Italia ma ancora decisamente al di sotto della media nazionale (104);

- e soprattutto il trend dei primi otto anni dello scorso decennio rivela un decremento di quasi nove punti percentuali (-8,67%) rispetto alla media europea.

Si tratta di valori negativi che, pur in una situazione generalizzata di crisi, sono per la Sardegna ancora più gravi, data la situazione di partenza.

In ultimo, a fronte di una riduzione della ricchezza prodotta annualmente, l'ISTAT registra per la Sardegna un'incidenza della povertà quasi doppia rispetto al dato medio nazionale (10,8%).

Nell'ultimo biennio censito dall'Istituto di Statistica, infatti, il valore della Sardegna si attesta su valori vicini al 20%.

Valore inferiore a quello delle altre regioni del Mezzogiorno, ma che attesta che una famiglia su cinque è interessata dal fenomeno, la cui diffusione sta interessando sempre più nuove fasce della popolazione, a partire chiaramente dai nuclei familiari più nume-rosi.

ALCUNE DIRETTRICI PER UNA NUOVA FASE DELLO SVILUPPO

La situazione di disagio economico e sociale appena richiamata scaturisce, al di là dei fattori esterni di crisi e di caduta generale della domanda, da una debolezza strutturale del sistema produttivo isolano che, nel decennio passato, ha subito in maniera pesante tale crisi.

Per questi motivi il problema del lavoro e della questione sociale diventa centrale nella difesa dei diritti di cittadinanza e nelle politiche dello sviluppo.

Le stesse trasformazioni istituzionali non possono prescindere dall'obiettivo prioritario di garantire maggiori opportunità lavorative e la dignità nel lavoro.

In questa direzione le iniziative necessarie riguardano:

◙ l'autonomia finanziaria della Regione e delle sue istituzioni;

◙ una maggiore capacità di spesa della Regione attraverso le riforme necessarie e la rivisitazione del patto di stabilità;

◙ il trasferimento di funzioni e poteri agli enti locali per meglio affermare il principio di sussidiarietà e il federalismo interno;

◙ un programma pluriennale per la crescita economica e lo sviluppo;

◙ un piano straordinario per il lavoro giovanile e per il reimpiego;

◙ un programma pluriennale per la scuola e le università della Sardegna.

UNA FASE COSTITUENTE PER LE ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO

È dalla fine degli anni '90 che si pone l'urgenza di un consistente mutamento delle istitu-zioni dell'autonomia e del suo modello di democrazia rappresentativa.

È, infatti, da circa 15 anni che il logoramento delle istituzioni, in primo luogo la Regione, è l'epicentro della crisi dell'Isola e concausa delle difficoltà e dei ritardi nei processi dello sviluppo.

Oggi siamo nella fase più acuta di questa crisi; sono interessati tutti gli ambiti della vita economica, sociale e ambientale della Sardegna.

Ha raggiunto livelli non più sopportabili l'inefficienza, e talvolta l'indolenza della Regio-ne, ed è a livelli molto bassi la credibilità e l'autorevolezza della rappresentanza politica e istituzionale.

In Sardegna, dunque, si è esaurita la spinta propulsiva delle «idee forti» (autonomia e rinascita). Ma da qui è necessario ripartire per rimotivare i valori e le opzioni di un «nuovo patto tra i sardi»: riforme - nuovo ordinamento istituzionale che assegni pari dignità a tutti i territori dell'Isola e che preveda la rappresentanza delle comunità locali nel Consiglio regionale, che affronti le questioni dello sviluppo, della sussidiarietà e del-lo sviluppo locale, ciel lavoro, della solidarietà e della competitività, della formazione e dell'istruzione, del federalismo interno.

L'Assemblea costituente, in questa direzione, non è solo un fatto formale-normativo, ma un momento che sancisce il riconoscimento, la condivisione e l'attuazione della nuova volontà del popolo sardo.

Oggi, solo apparentemente, nelle sue dinamiche superficiali, è in atto un conflitto redistributivo (certo c'è anche quello e dobbiamo evitare che evolva verso un modello corporativo), indotto dal risanamento dei conti pubblici, dalla riduzione consistente del tasso d'inflazione, dalla ripresa produttiva mondiale, che pur non intaccando gli equilibri delle due Italie, consente anche all'economia e alla società italiana di far fronte con dif-ficoltà e sperequazioni al patto di stabilità interno e ai vincoli dell'Unione Europea.

Da qualche anno l'oggetto vero del contendere, il conflitto e le contraddizioni che segne-ranno la lunga durata della storia e delle relazioni (quelle semplici e quelle complesse) riguarda il nuovo modello di democrazia e al suo interno la nuova ripartizione del potere e dei poteri, la riforma della forma di stato, una rinnovata ubicazione e con-figurazione della sovranità e della legittimazione, il riposizionamento del sociale e delle sue rappresentanze.

Ecco perché, come già sottolineato, le caratteristiche di questa fase della nostra storia ci sollecitano a un impegno straordinario in termini di passione, riflessione, proposta e iniziativa politica.

Certo si è ancora in una fase informe di questa evoluzione verso una nuova democrazia.

È però più che evidente il mutamento dello Stato, dentro una crisi delle costituzioni come «fondamenta» delle istituzioni, delle imprese, del sindacato.

Sono in movimento tutti i tasselli che andranno a comporre un nuovo modello di demo-crazia e le stesse forze che determineranno i nuovi diritti e doveri di cittadinanza.

È necessario dunque essere protagonisti di questa fase per partecipare al governo delle scelte connesse all'accumulazione della ricchezza, all'equa distribuzione, all'affermazione dei diritti e doveri di cittadinanza.

Dunque il federalismo come patto e la democrazia di contratto come nostro terreno di lavoro, nella difesa e nella tutela del lavoratore, ma pure negli aspetti che coinvolgono il rapporto tra rappresentanze sociali e istituzioni, tra comunità locali e istituzioni ai diversi livelli. Come sostiene qualche autorità della materia «Il Patto di fedeltà sta allo stato ottocentesco come il contratto sta al federalismo. La crisi delle costituzioni, come «fondamenta» e valori immutabili è la crisi di questa forma di stato. Non è come taluno dice la crisi della politica causata dalla «tecnica», o «la crisi dell'idea di progresso e del finalismo».

Noi siamo per una democrazia di contratto cooperativa, competitiva, solidale.

Per la Sardegna, dentro questi processi, resta aperta la questione del nuovo patto costituzionale tra Regione e Stato, il destino della specialità e del federalismo interno.

In questa direzione è prioritario e necessario rimeditare sul nostro cammino di popolo e rimotivare le adesioni ai valori fondanti del patto di convivenza civile e politica.

Su tutti questi argomenti, e nelle dinamiche in atto, manca, ed è invece utile, una sintesi politica, all'altezza della fase costituente della democrazia italiana, e che abbia come riferimenti forti il federalismo e, soprattutto, la necessaria e indispensabile solidarietà tra persone, istituzioni e territori.