di Mario Medde

1. La Cisl, il sindacato dell’autonomia e delle autonomie: le ragioni di un primario interesse per il tema dell’autonomia e del regionalismo

La CISL è nata come sindacato dell’autonomia e delle autonomie e ha nel suo DNA e nella pratica quotidiana queste caratteristiche, peraltro fondamentali e fondanti la stessa costruzione giuridica e costituzionale del nostro Paese.

Da sottolineare alcuni aspetti di questa nostra attenzione speciale al ruolo delle istituzioni, all’autonomia e al regionalismo:

  • il regionalismo e l’autonomia hanno spazi nobili nell’esperienza storica del cattolicesimo, si pensi ad esempio a Luigi Sturzo;
  • la struttura organizzativa e di rappresentanza della CISL è di tipo federale, con un’articolazione nazionale e regionale;
  • oltre alla centralità del lavoro, per la Cisl, c’è sempre stata quella delle istituzioni, della persona e della solidarietà come fondamento del modello di democrazia rappresentativa.

L’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione, dal punto di vista di una organizzazione sindacale, e non solo, implica però il preventivo rispetto di alcuni principi (uniformità dei diritti fondamentali e solidarietà tra territori e persone) e di una funzione di coordinamento e controllo da parte dello Stato.

In questa direzione possono tornare utili alcune brevi riflessioni.

2. I problemi della governance nella divisione delle funzioni ai diversi livelli di governo

In un periodo storico, lungo e tormentato, soprattutto dal punto di vista della stabilità economica e della tenuta sociale, accanto al rafforzamento della rappresentanza e della mediazione sociale, è fondamentale interrogarsi e dare risposte su come le istituzioni locali e nazionali debbono riorganizzarsi e integrarsi nella dimensione europea, modificandola positivamente (l’Europa dei popoli e delle regioni), e come, allo stesso tempo, far fronte alle dinamiche della globalizzazione, delle ricorrenti crisi finanziarie e produttive, e alle difficoltà conseguenti agli effetti della pandemia e della guerra in Ucraina.

In questa direzione la riforma delle istituzioni in senso regionalista, e conseguentemente la divisione delle funzioni ai diversi livelli di governo, pongono il problema di come garantire:

  • un’efficiente allocazione delle risorse;
  • un’equa distribuzione del reddito;
  • il mantenimento della stabilità economica.

Ma il reddito e la stabilità appaiono più consoni alla dimensione centrale giurisdizionale (lo Stato) piuttosto che a quella territoriale e regionale.

Contestualmente è necessario dare centralità alle seguenti considerazioni e interrogativi:

  • Quale governance per rilanciare lo sviluppo e la stessa inclusione sociale e in primo luogo per costruire un modello di democrazia che trovi spazio e autorevolezza tra le pulsioni populistiche, nazional-sovranistiche e pseudo europeistiche o nel liberismo delle istituzioni internazionali?
  • Di fronte alle sfide della globalizzazione, lo Stato, o meglio la Nazione, può trovare al suo interno le ragioni e la forza politica per mettere in campo una originale e condivisa articolazione istituzionale, contribuendo anche a una diversa costruzione e cooperazione europea, date le caratteristiche fortemente pervasive della legislazione e delle direttive della UE?
  • In che modo il dibattito sull’attuazione dell’articolo 16, comma 3, della Costituzione e la sua attuazione è in grado di contribuire a risolvere i problemi su esposti e a rinvigorire il ruolo e la partecipazione democratica delle istituzioni e la stessa politica, così decisivi in un’articolazione rinnovata dell’ordinamento della Repubblica?

3. Alcune considerazioni su federalismo, regionalismo e articolo 116, comma terzo, della Costituzione

È anche utile soffermarsi un attimo sul merito del federalismo, del regionalismo e sull’articolo116, comma terzo della Costituzione.

Il federalismo è un patto tra realtà istituzionali autonome che decidono come stare insieme; si sottolineano dunque le responsabilità della convivenza, a iniziare dalla condivisione dei beni per ripartire i doveri e sancire i diritti individuali e collettivi.

È un modo di costruire lo stare insieme da parte di soggetti istituzionali con specifiche caratteristiche storiche e geo-territoriali, o di popoli che si accordano attraverso un foedus (patto).

Nella realtà storica, ma ancora prima nelle dottrine politico-giuridiche, si sono affermate diverse e spesso contrastanti tipologie di federalismo. Talvolta, infatti, sullo spirito originario e sulle volontà di costruire la convivenza solidale, hanno preso il sopravvento le dinamiche politiche, economiche e i rapporti di forza.

Anche il cosiddetto federalismo fiscale (così come sancito nella Costituzione, e nelle norme, a partire dall’art. 119) è figlio, nel nostro Paese, di una stagione politica e istituzionale connotata da nuovi rapporti di forza, in una fase di grave crisi economica, e dunque di notevoli difficoltà dello Stato sociale di farsi carico dei complessivi bisogni individuali e collettivi.

Si sono congiunti, allora, l’esigenza dello Stato di scaricare le competenze e i costi sulle amministrazioni locali e regionali e la volontà di diversi partiti a favore di una forte differenziazione territoriale e regionale sul versante di nuovi poteri, competenze e compartecipazioni tributarie. Ma il federalismo fiscale è rimasto per aria perché questo strumento, perché funzioni, presuppone che le risorse fiscali restino sul territorio che le utilizza sulla base di un suo preciso indirizzo politico-programmatico, e una percentuale vada poi devoluta allo Stato per la cura degli interessi generali.

Mentre nell’articolo119 della Costituzione è prevalente il principio di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, con quel che ne consegue dal punto di vista della raccolta e dell’utilizzo delle risorse fiscali sulle complessive competenze dei soggetti giurisdizionali territoriali. Infatti la Corte costituzionale ha evidenziato la necessità di una legge statale di coordinamento prioritaria rispetto a qualsivoglia iniziativa di natura tributaria da parte delle Regioni (sentenza n. 16 del 2004).

Da ricordare inoltre che l’obiettivo politico-istituzionale dell’indipendenza di un’area, cui ha fatto da contraltare l’idea di opposte forze politiche di rafforzare le istituzioni locali con un più semplice trasferimento di competenze (si pensi però alle difficoltà insorte con la gestione delle competenze concorrenti), si è nel tempo evoluto in quello dell’autonomia differenziata, richiamando l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione che prevede “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le prescrizioni riportate nel Titolo V (articoli 117 e 119).

Il federalismo presuppone invece un radicale mutamento costituzionale e un modello istituzionale totalmente diverso da quello attuale, che può avere riferimenti storici, ma che deve però essere applicato alle specifiche e concrete situazioni.

Per tutto ciò, è semanticamente e politicamente più corretto, per quel che concerne il titolo V della Costituzione e l’articolo 116, comma 3, e gli articoli 117,119 e 120 parlare di regionalismo e di particolari forme di autonomia, piuttosto che di federalismo, compreso quello fiscale, proprio come peraltro recita lo stesso articolo 116. Il regionalismo è infatti il modo di essere della Repubblica e dell’attuale modello di democrazia.

Ovviamente aperte e insolute, per le regioni ordinarie, le questioni connesse alla dimensione delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio, e ancora di più la questione criptata, ma non tanto, dell’utilizzo dei residui fiscali. La partita in gioco, per alcune regioni, riguarda proprio questi aspetti, in attesa di vedere il destino, in fase attuativa e di impatto politico, istituzionale e sociale.

4. Lo stato dell’arte

Il problema dell’attuazione dell’articolo 116 va quindi affrontato prima di tutto “de iure condito”, e cioè, qual è lo stato dell’opera relativamente alle norme esistenti e alla loro attuazione?

Ancora prima della proposta Calderoli, qualche anno fa, su 15 Regioni a Statuto ordinario, 3 avevano sottoscritto accordi preliminari con il Governo, 7 avevano conferito formalmente l’incarico di chiedere al Governo l’avvio delle trattative, 3 avevano assunto iniziative preliminari con atti di indirizzo, 2 avevano avviato iniziative formali per l’avvio della procedura ex articolo 116, terzo comma. Le materie indicate, allora e ora, sono diverse e riguardano sia le materie di potestà legislativa concorrente sia quelle di esclusiva statale richiamate nell’articolo 117, lettere l, n, s.

Il Governo già allora poteva proseguire con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, o anche solo con una di queste, per definire un modello da applicare successivamente alle altre Regioni (modello flessibile, per adeguarlo alle specifiche situazioni regionali); includere nei tavoli già avviati le Regioni che avevano fatto richiesta di avvio dei negoziati; attendere che anche le altre Regioni che ne hanno manifestato interesse completino l’iter formale di avvio della richiesta. Il tutto si arenò per riprendere ora con il nuovo Governo di centro-destra e con la proposta Calderoli, in concomitanza con il progetto di trasformazione della Repubblica attraverso il premierato.

Da evidenziare che, nell’attuazione del nuovo titolo V, i tentativi delle Regioni di legiferare nelle nuove materie, concorrenti o residuali, furono allora bloccati dal Governo e la stessa Corte costituzionale sancì la necessità che la legge statale definisse i nuovi principi della materia. Il Governo propose inoltre il problema della definizione delle materie.

A tutt’oggi con la Calderoli nulla è cambiato.

5. Ulteriori decisive valutazioni

Il regionalismo e l’autonomia differenziata, così come previsti nella proposta Calderoli, rischiano di incrementare il divario tra Nord e Sud del Paese, e di portare alla frammentazione del corpo dello Stato in giurisdizioni regionali sul modello statuale (più piccoli e altrettanto centralisti: si veda l’esperienza delle regioni a statuto speciale), senza cambiare di natura rispetto ai principi di sussidiarietà territoriale (ripartizione poteri, funzioni e risorse agli ambiti locali in un modello di “federalismo interno”, dizione impropria, ma tanto per intenderci, in Sardegna ad esempio da affrontare con la legge statutaria).

Il modello di autonomia partecipata e solidale deve infatti contestualmente consentire il trasferimento delle funzioni e dei poteri dello Stato alle Regioni e da queste ai Comuni ed agli Enti intermedi e di garantire la uniformità di tutte le prestazioni socio-sanitarie e delle pari opportunità di accesso ai diritti fondamentali.

L’autonomia che si realizza all’interno delle Regioni è la condizione dunque per affermare un nuovo modello, non solo procedurale, ma di reale democrazia dove la formazione della volontà collettiva sale dal basso verso l’alto (sussidiarietà ascendente), coinvolgendo nella fase ascendente Comuni, Enti intermedi, Regioni e Stato.

D’altronde era questo lo spirito della riforma costituzionale che con il titolo V all’articolo 114 sanciva che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Questi sono appunto gli elementi costitutivi dell’Ordinamento della Repubblica. Altro aspetto fondamentale da mettere in campo riguarda il consenso necessario alla costruzione di un nuovo modello di Repubblica e di democrazia attraverso il coinvolgimento del Parlamento, di tutte le parti sociali ed economiche, delle Regioni e degli Enti Locali Passaggi decisivi che è necessario recuperare nell’attuazione di un percorso di riforme istituzionali così rilevanti per i cittadini e per il Paese.

È inoltre prioritario attuare i dispositivi normativi dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), le leggi di principio delle materie concorrenti, e quella su uniformità dei diritti civili e sociali, come d’altronde già evidenziato in norma e invece ancora da predisporre. Come a dire che nella proposta in approvazione nel Parlamento si costruisce la casa dal tetto prima delle fondamenta. Il principio di uniformità e solidarietà precede e giustifica infatti la funzione regolativa di Stato, Regioni e Comuni e deve sovraintendere a quella legislativa e amministrativa.

Da sottolineare nella proposta di autonomia differenziata, lo ripetiamo in fase di approvazione in Parlamento, le contraddizioni e la confusione relative alla copertura finanziaria dei dispositivi normativi e attuativi riguardanti i LEP, dunque la uniformità di una soglia minima uniforme dei diritti civili e sociali e la dichiarata neutralità sul sistema di finanza pubblica delle Intese Regioni-Stato. Tra l’altro è del tutto illusorio pensare che il differenziale dei servizi socio-sanitari, ma pure di tutti gli altri elencati nei LEP, possano essere colmati senza enormi risorse finanziarie dello Stato e garantendo alle regioni del nord la copertura della spesa storica e in più le risorse aggiuntive derivanti dalle nuove competenze e funzioni. Si è dunque di fronte a una proposta che non solo non può essere condivisa perché pasticciata e costituzionalmente molto dubbia, ma anche perché foriera di ulteriori elementi di disparità tra le diverse aree del Paese, e dunque anche tra il Nord e il Meridione e la Sardegna.

6. Una nuova idea e pratica della specialità e dell’autonomia per la Sardegna

Dall’avvio della specialità autonomistica molta strada si è percorsa, e certamente si è compiuta la prima modernizzazione della Sardegna, ma i problemi più rilevanti che hanno storicamente caratterizzato la questione sarda sono ancora all’ordine del giorno del dibattito politico, istituzionale sociale e oggi attendono soluzioni diverse e in linea con le dinamiche di questi tempi.

A distanza di quasi 75 anni dalla prima seduta del Consiglio regionale della Sardegna (28 maggio 1949) è evidente il logoramento dell’idea e della pratica della specialità autonomistica. Tanto da non vedere con nitidezza le differenze con le regioni a statuto ordinario, non solo per i limiti locali ma anche per i ritardi e le responsabilità dello Stato. Ma non sono certo venute meno le ragioni forti, storiche e attuali dell’autogoverno in senso autonomistico e della specialità istituzionale, che oggi si rivendica non solo attraverso il riconoscimento dello status di insularità, ma soprattutto attraverso un nuovo rapporto Stato-Regione (in primo luogo con una ridefinizione dei poteri) e con la stessa Unione Europea, che ormai così gran parte ha nella vita politica, istituzionale e sociale dei cittadini.

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* Per la stesura di questi appunti mi sono liberamente avvalso dei seguenti articoli:

Domenicoantonio Fausto, Note sulla teoria economica del federalismo fiscale, in «Rivista economica del Mezzogiorno», nn. 3-4, Bologna, il Mulino 1999.

Federico Pica, Per un federalismo municipalista. I principi: Il Federalismo e la Costituzione italiana, in «Rivista economica del Mezzogiorno» nn. 3-4, Bologna, il Mulino 1999.