di Mario Medde
La rilettura di tre libri, scritti tanti anni or sono, con contenuti comunque validi per il presente, mi fa riflettere su un problema importante per il ruolo del sindacato in generale e nello specifico della Sardegna, sia nella rappresentanza del mondo del lavoro che nella tutela degli interessi dell’Isola.
Si tratta di saggi che ancora oggi portano a riflessioni che possono tornare utili ai sindacalisti e agli stessi uomini delle istituzioni e della politica.
I titoli sono significativi ed emblematici: La CISL e il centurione, ovvero il metodo sindacale della CISL, di Aldo Carera, edito nel mese di marzo del 1997, un manuale per la formazione sindacale; Passaggio senza riti, sindacalismo in discussione, di Bruno Manghi, edito nel 1987 per le Edizioni Lavoro; Il problema storico della CISL, con il sottotitolo La cittadinanza sindacale in Italia nella società civile e nella società politica, di Vincenzo Saba, edito nel 2000 per le Edizioni Lavoro.
Pur trattandosi di argomenti in parte interni alla storia della CISL, le riflessioni portano però anche a interrogarsi, pur se indirettamente ma con utilità soprattutto per chi opera nel sindacato, su quale metodo e azione sindacale siano più funzionali e oggi necessari, non solo in generale, ma anche in una realtà come la Sardegna.
Se è vero infatti che metodo e azione sindacale sono talvolta caratteristiche per così dire genetiche di un sindacato nella sua dimensione nazionale, è pure parte di quel metodo considerare il contesto e le specificità in cui opera. Gli stessi fini dell’azione sindacale si articolano anche in base a obiettivi di natura verticale e orizzontale, di categoria, di settore, di territorio e regione. La stessa struttura organizzativa del sindacato, della CISL in particolare, risponde a questa necessità operativa e di obiettivi, pur all’interno di una strategia più generale.
1) Vincenzo Saba nel saggio citato, soprattutto nella introduzione, prima della esposizione più prettamente storica, evidenzia le riflessioni di Giovanni Marongiu su Mario Romani relativamente alla cittadinanza sindacale nella società civile e nella società politica, per comprendere la nascita e l’evoluzione della CISL e per definire quindi il problema storico di questo sindacato.
Tra le tante valutazioni e categorie interpretative, Marongiu ne sottolinea una di grande rilevanza sia per quel che attiene al problema della cittadinanza nella società civile sia in quella politica. Il sindacato scrive: “svolge un ruolo quasi costituzionale, di contenimento e di limiti di quel potere politico che nello Stato rappresentativo dei partiti è destinato a non avere più, o ad averlo attenuato, quel sistema di pesi e di contrappesi che era assicurato nello Stato rappresentativo puro, dal principio della divisione dei poteri”.
Marongiu continua richiamando Mario Romani: “Il sindacato come associazione e la sua classe dirigente devono pensare a comportarsi come una formazione sociale e una classe dirigente generali”. “Il passaggio del sindacato dalla sfera civile a quella politica, per via democratica, è il punto più alto, ma anche il più delicato e critico - continua Marongiu - dell’accesso alla cittadinanza e di grande responsabilità per la vita del Paese. È l’affermazione dell’autonomia come principio basilare dell’Associazione, al di là delle forme con le quali questo si afferma”.
Un’altra significativa annotazione di Marongiu, collocata nella risposta storica della CISL
nel periodo1992-1993, e che ha un significato premonitore del futuro, spiega molto bene cosa arricchisce e rende forte il sindacato: “… di fronte a un futuro così terribilmente aperto, il futuro del sindacato e della CISL in esso, si presenta ancora una volta, come il prodotto di un atto creativo che sappia davvero coniugare cultura e storia, pensiero e azione, in una tensione intellettuale e morale che non ha precedenti, ma che pure trova nell’esperienza del passato il senso e il segno del suo concreto dispiegarsi”.
Marongiu continua sottolineando l’idea fondativa di Giulio Pastore, appena dopo la seconda guerra mondiale e interrogandosi su “come conseguire la libertà politica e l’eguaglianza sociale, come rendere aperto e partecipato il processo di governo di una società che giunge al suffragio universale, in uno Stato che diventa Stato dei partiti e che assume il controllo dei processi produttivi e dell’espansione dei bisogni sociali”.
La risposta che viene dalla CISL è precisa e chiara: “ Un sindacato autonomo libero da ideologie e da obbedienze partitiche, pronto al conflitto ma disponibile alla cooperazione; un nuovo soggetto sociale e politico, insieme, non monolitico ma interamente articolato, portatore e interprete di interessi reali non solo economici, una forza completamente nuova, che si gioca interamente sul terreno sociale, eppure si fa interna dunque sul terreno politico, componente consapevole e indispensabile della stessa società politica”.
Una funzione quella del sindacato nuovo che si afferma e contribuisce al processo di democratizzazione dello Stato attraverso l’affermazione della politica nella sua dimensione orizzontale.
Marongiu sostiene che inizia così una nuova fase storica “ … in cui la sfera politica viene sottoposta a una singolare forma di socializzazione, che avrà come suo sbocco non equivoco, dopo la sconfitta dei fascismi, le costituzioni democratiche e sociali del secondo dopoguerra, la nostra compresa […] Si può quindi avere della democrazia un’idea che si potrebbe chiamare economica , ma si può avere anche della democrazia una concezione etica, come un luogo nel quale individui liberi ed eguali, epicentro ciascuno di valori morali, si confrontano, confliggono e collaborano in una visione dei loro interessi né schematicamente contrapposti né pregiudizialmente inconciliabili”.
Marongiu sostiene che “… l’associazione, o la formazione sociale, è la via maestra che può operare questa difficile mediazione, che può trasformare gli individui in persone e la società in comunità”. A condizione però “che ogni associazione sia autenticamente fondata sull’individuo-persona, sui suoi diritti, le sue libertà, i suoi poteri, che in altri mezzi realizzi essa stessa quei valori etici della democrazia, che non possono fiorire nella società generale, se non nascono e non crescono nella società particolare”.
Punti salienti delle riflessioni di Giovanni Marongiu
- Il sindacato nuovo, la CISL, deve agire da contenimento e limiti del potere politico visto che nel sistema rappresentativo dei partiti non ci sono più pesi e contrappesi;
- la CISL è una formazione sociale e deve agire come classe dirigente generale;
- il principio primario del sindacato è l’autonomia;
- il sindacato, la CISL, deve coniugare cultura e storia, pensiero e azione, tensione intellettuale e morale;
- si deve essere pronti al conflitto ma disponibili alla cooperazione;
- la CISL soggetto sociale e politico non monolitico ma interamente articolato;
- il sindacato si afferma sul terreno sociale, ma è una componente consapevole e indispensabile della stessa società politica, nella sua dimensione orizzontale;
- l’associazione è la via maestra che può trasformare gli individui in persone e la società in comunità;
- ogni associazione afferma i valori etici della democrazia a patto che nascano e crescano nella stessa associazione.
2) Aldo Carera nel suo manuale per la formazione sindacale La Cisl e il centurione, ovvero il
metodo sindacale della CISL, scrive che gli obiettivi del sindacato sarebbero molto difficili da affrontare senza un metodo, cioè senza “un criterio e norma direttiva che vengono seguiti per fare qualcosa”. Etimologicamente il significato di metodo è quello di “via che conduce oltre” e, ad esempio, “identificava il tragitto percorso dai centurioni negli accampamenti militari per controllare le sentinelle”. Da qui appunto il sottotitolo del manuale di Carera.
Il metodo Cisl, continua Carera, si fonda su quattro punti: considerare il contesto storico, cioè considerare il quadro complessivo in cui si inserisce l’esperienza sindacale, definire la natura del sindacato, cioè la natura associativa di sindacato di lavoratori, precisare i fini dell’azione sindacale, cioè tenere insieme la tutela del lavoratore con quella degli altri lavoratori e con gli interessi generali del Paese, “scommettere” sul lavoro e sul sindacato, che significa avere consapevolezza di sé, di quanto accade nella Organizzazione e fuori dalla Organizzazione, nel mondo del lavoro, ma anche un costante impegno nello studio e nella formazione, dunque un’autonoma elaborazione culturale e politica. Da tutto ciò, continua Carera, dipende la possibile ricaduta positiva anche in termini di sindacalizzazione e su tutti i lavoratori.
È necessaria, sostiene ancora Carera, una definizione anche sintetica del sindacato, che appunto esplicita in questi termini: “un’associazione libera e autonoma di lavoratori dipendenti che si costituisce per fini di autotutela perseguiti tramite l’uso della contrattazione e dello sciopero,nella pratica della solidarietà tra gli associati e secondo le ragioni del bene comune”.
Punti salienti della proposta di Aldo Carrera
- Gli obiettivi del sindacato si realizzano con un metodo, cioè un criterio e una norma direttiva che vengono seguiti per raggiungere gli obiettivi;
- il metodo CISL si fonda su: valutazione del contesto storico, valutazione della natura del sindacato, precisazione dei fini dell’azione sindacale, scommettere sul lavoro e sul sindacato (consapevolezza, conoscenza, studio), autonoma elaborazione culturale e politica;
-il sindacato CISL come libera e autonoma associazione di lavoratori dipendenti per fini di autotutela e per il bene comune.
3) Bruno Manghi nella sua pubblicazione dal titolo Passaggio senza riti, con il sottotitolo Sindacalismo in discussione, sostiene che “l’esperienza storica del sindacalismo abbia percorso a suo modo un tragitto segnato da alcuni passaggi e che anche oggi [il saggio è del 1989, nota dello scrivente] in Italia e altrove lo stesso mondo sindacale vive un’atmosfera di passaggio”.
Manghi continua sostenendo che “il presunto passaggio che si sta vivendo inizi con un senso di inadeguatezza dei riti, del linguaggio, delle cerimonie che fino a ieri sembravano l’anima stessa dell’esperienza”. Da qui la constatazione che dalla sacralità delle vicende sindacali si stia passando a una dimensione profana dove buon senso e astuzia empirica sono più che sufficienti.
Il titolo del libro parte proprio da questa breve riflessione, per affrontare poi lungo tutta la trattazione l’evoluzione del sindacato italiano e il punto di arrivo in quella fase storica, gli ambiti e i soggetti della rappresentanza, il mito degli ultimi, l’incontro con la ricchezza, l’immaginario di ieri, le caratteristiche del linguaggio, il presunto conservatorismo del sindacato, il ruolo e il “mestiere del sindacalista”. È proprio nelle conclusioni, nel capitolo titolato Sul mestiere, che viene affrontato un aspetto e un soggetto primario e fondamentale del lavoro del sindacato, cioè il mestiere del sindacalista. Una riflessione che oggi è totalmente scomparsa dal dibattito sia interno che esterno al sindacato. Probabilmente perché si tratta ormai di un impegno che non attrae e che nel mondo del lavoro e tra i giovani non rappresenta più un’aspirazione. Scrive Manghi: “Accade oggi che l’incertezza intorno alla missione sindacale, unita alla scarsa plausibilità dei vecchi riti, sconvolga la tradizionale recitazione, anche se perdura una forte nostalgia delle performance dei grandi dirigenti di ieri, che sapevano combinare invettiva ed ironia e inventare battute popolari,fatte apposta per stamparsi nella memoria dei tuoi e destinate ad essere ripetute per anni “.
Il libro è stato pubblicato nel 1987, e già 37 anni fa la figura del sindacalista tradizionale, storico, impattava con nuove esigenze e con la necessità di radicali mutamenti soggettivi e relazionali (figuriamoci oggi con il fenomeno della globalizzazione ancora più pervasiva nella vita delle persone e della società e con il peso della Unione Europea nelle dinamiche istituzionali e sociali).
Scrive infatti Manghi che il mestiere del sindacalista “esige un minimo assai consistente di conoscenze giuridiche, economiche, sociali, amministrative. Il fatto che si sviluppino specialismi accentua il bisogno di una competenza di base, in grado di selezionare le questioni e di andare a cercare le risposte nei luoghi giusti, siano essi persone, istituzioni o documenti”. Già da allora Manghi parlava della minaccia costante di inaridimento della domanda di conoscenza. “Ecco perché - continua Manghi - il mestiere del sindacalista consiste nella sollecitazione della domanda di sapere, della curiosità, in sé stesso e nell’interlocutore, una funzione ancorata affidata a vicende affettive, all’inquietudine e al desiderio, non solo al convincimento razionale”.
“In questa direzione - evidenzia Manghi - sono fondamentali le doti di orientamento: ordinare le informazioni, farle giocare con il quadro interpretativo, sistemare i fenomeni senza perdere la capacità di percezione e senza mortificare l’esperienza; aspetti che dipendono dalla stabilità dei valori e delle motivazioni, soprattutto da quanto questi pesano nei comportamenti. È necessario altresì un mix tra esperienza, riflessione e conoscenza. L’operazione individuale della scrittura potrebbe essere tra quelle che, imponendo un ritmo diverso e consentendo una verifica, rafforzano nell’operatore una capacità di orientamento autonomo. Non si tratta però di avere punti elevati di elaborazione situati qua e là nell’organizzazione, quanto una diffusione generale di apertura alla conoscenza”.
“Il sindacalista - scrive Manghi - compare essenzialmente come un artigiano indotto a cooperare con altri, dedito alla comunicazione, richiesto di apprendere e interpretare, infine un organizzatore di risorse umane. È un mestiere tra altri mestieri, ai quali peraltro non può essere ricondotto.
L’autore sostiene inoltre che quello del sindacalista sia un mestiere significativo e con una elevata responsabilità, partecipe di un mondo positivamente valutato [ancora una volta evidenziamo che il saggio è stato pubblicato nel 1989] ... Occorre però evitare che sia un sindacalismo senza mestiere, un prevalere del posto (ancorché modesto) sulla funzione, una cooptazione senza apprendimento”.
Manghi conclude sostenendo che “oggi si sente la necessità di un rinnovamento senza il quale lasceremmo i nostri ideali in un limbo indefinito e il nostro pragmatismo si ridurrebbe a una praticoneria piuttosto cinica. È la strategia a definire l’utilità dei mestieri, ma a che serve se viene meno la voglia di un mestiere”?
Punti salienti dell’ultimo capitolo del libro di Bruno Manghi
- Riti, linguaggi, cerimonie del sindacato, che pure erano l’anima dell’esperienza si stanno consumando;
- si sta passando dalla sacralità delle vicende sindacali al profano;
- sembra si stia passando a una dimensione dove buon senso e astuzia empirica siano più che sufficienti;
- è del tutto accettabile l’idea che esista un mestiere fondamentale del sindacalista e che alcune caratteristiche del suo agire professionali siano costanti;
- il mestiere è l’insieme dei talenti e delle abilità utili per tentare il raggiungimento dei fini dichiarati e specifici e si lega al ruolo ma ancora di più alla persona fino a diventare parte di essa;
- il mestiere del sindacalista esige un minimo di conoscenze giuridiche, economiche, sociali e amministrative;
- è necessario un mix tra esperienza, riflessione e conoscenza;
- la scrittura consente al sindacalista di avere un orientamento autonomo;
- il sindacalista è un artigiano indotto a cooperare con altri, dedito alla comunicazione, che apprende e interpreta, un organizzatore di risorse umane;
- bisogna evitare che il posto prevalga sulla funzione;
- la strategia definisce l’utilità dei mestieri, ma è indispensabile la voglia del mestiere.
Note biografiche degli autori citati:
Mario Romani (1917-1975), economista, docente e prorettore dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel 1950 collaborò con Giulio Pastore nella costituzione della CISL, della quale fu direttore del Centro studi sino al 1967. Lavorò, promosse e diffuse la elaborazione culturale del sindacato nuovo, la CISL, come sindacato aconfessionale, dell’autonomia e della contrattazione.
Giovanni Marongiu (1929-1993), Ordinario di Diritto Amministrativo e titolare della cattedra di Diritto Pubblico presso la LUISS. Nel 1989 fu nominato direttore responsabile della rivista bimestrale di politica del lavoro della CISL «Il progetto». È stato Ministro per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno.
Vincenzo Saba (1916-2011), laureato in Lettere e Filosofia ha fatto parte dell’Ufficio formazione CISL chiamato da Mario Romani e dal 1956 al 1960 ha diretto il Centro studi CISL. È stato fondatore della Fondazione Giulio Pastore, di cui è stato vicepresidente dal 1975, presidente dal 1993 al 2001, infine presidente emerito dal 2001 sino alla sua morte, avvenuta il 21 ottobre 2011. Ha scritto e pubblicato diverse monografie e numerosi contributi sulla storia della CISL.
Bruno Manghi (1941-), sociologo, formatore, dirigente CISL per numerosi anni, è stato responsabile del Centro studi della CISL del Mezzogiorno a Taranto. Autore di libri sul lavoro, sulle sue trasformazioni e sul sindacato.
Aldo Carera (1949-), professore ordinario di Storia economica e di storia delle relazioni industriali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è Presidente della Fondazione Giulio Pastore e Direttore dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico. Ha pubblicato numerosi contributi e libri sulla storia del sindacato.
Settembre 2024