di P. Borrotzu, M. Medde, S. Urru dell'Associazione Carta di Zuri

Una memoria alla Regione perché legiferi, intervenga e coordini su un problema importante per contrastare la povertà e per difendere il reddito dei cittadini dal carovita. Sulle famiglie infatti grava anche il peso ingiustificato delle tasse e tariffe locali, causa di ulteriore povertà e di crisi delle istituzioni. È urgente rivedere le partecipate pubbliche e il sistema dei servizi.

 

Tasse e tariffe locali e regionali, in aggiunta all'abnorme imposizione fiscale nazionale, pesano in modo determinante sulle condizioni di vita e nell'impoverimento dei sardi. Su questo profondo e diffuso disagio incidono prima di tutto le difficoltà dell'economia e la disoccupazione; proprio per questo è incomprensibile, però, che su una comunità per la gran parte martoriata da una crisi lunga e senza precedenti si riversino aumenti neppure giustificati dalla qualità dei servizi.

L'unico vero welfare, ancora in piedi e fortunatamente funzionante pur tra mille difficoltà, resta la famiglia; essa è però ormai profondamente ferita, non solo dai colpi della crisi economica e finanziaria, ma anche dal prelievo, costante e continuo, cui è sottoposta dalle istituzioni locali, regionali e nazionali. Gli acronimi utilizzati per le tasse e le tariffe sono numerosi e talvolta misteriosi: IRPEF comunale e regionale, IRAP, IRES, IMU, TARI, TASI. Ora è da poco in campo un nuovo acronimo, IUC, Imposta Unica Comunale, che non semplifica ma aumenta gli ambiti soggetti a tassazione. Si configura l'azione di una fantasia sfrenata che meriterebbe miglior sorte.

La CGIA di Mestre ha da poco documentato un incremento delle tasse locali, a livello nazionale (ma la Sardegna non fa eccezione), del 200% tra il 1997 e il 2013. Sempre la stessa Associazione sostiene che nel 2013 il cittadino italiano ha pagato al fisco per tutte le imposte, balzelli, addizionali e tributi, in media 11.800 euro.

Casa, acqua, rifiuti, ora anche illuminazione pubblica, sicurezza stradale, gestione impianti e reti pubbliche, parcheggi; ormai pochissimo sfugge all'intervento delle istituzioni locali. Certo, si tratta di scelte in gran parte decise dal legislatore nazionale per scaricare gli oneri sui livelli locali; il risultato è che il cittadino si ritrova a far fronte a un livello di imposizione fiscale, tributaria e tariffaria del tutto abnorme, e senza peraltro poter usufruire, nella maggioranza dei casi, delle condizioni minimali di cittadinanza (ad esempio: opportunità lavorative, trasporti e continuità territoriale, reale diritto allo studio, adeguati servizi sanitari) e di servizi efficienti che non fanno pagare all'utente le disfunzioni organizzative e gestionali, le rendite di posizione della politica, infrastrutture vecchie e reti colabrodo.

Per qualche servizio si sostiene che si è di fronte a notevoli debiti da parte del cittadino, e che anche questo pesa sui problemi del soggetto gestore. In realtà non si valuta la dimensione del contenzioso, di notevole portata, probabilmente causato da particolari modalità gestionali e da inefficienze che sono sotto gli occhi di tutti, peraltro evidenziate talvolta dagli stessi Comuni e denunciate dagli utenti.

In generale, però, è urgente affrontare il problema delle partecipate pubbliche e dei soggetti a tutti i livelli deputati a fornire servizi ai cittadini e alle comunità, verificando le fonti di costo, le ragioni dei disservizi, le rendite parassitarie di ogni tipo e le inefficienze occasionali e strutturali.
Nessuno si preoccupa di rendere conto al cittadino e all'utente di questa perversa evoluzione delle tasse e delle tariffe, in primo luogo a livello locale e regionale.

Cosa c'è infatti dietro quegli acronimi, al di là del significato letterale delle parole, e qual è la motivazione reale dei costanti aumenti tariffari e tributari? Costi di gestione, ricerca di maggiore efficienza, più qualità del servizio, copertura di disavanzi e passività? Forse un po' di tutte queste cose. La conseguenza più evidente e preoccupante è che si perde però il significato del perché ci si riunisce in comunità istituzionale, Comune, Regioni, Stato. Lo stare insieme, organizzarsi in una istituzione, rischia di non apparire più un'opportunità, un vantaggio solidaristico, ma un ulteriore ricarico sulla persona e le famiglie, senza peraltro riuscire a promuovere i minimi diritti di cittadinanza.

È un pericolo che mina le stesse istituzioni, individuate purtroppo e spesso come soggetti rapaci piuttosto che come luogo che promuove la partecipazione, e che regola i doveri e i diritti dei cittadini e tutela gli interessi generali perseguendo il bene comune.