di Mario Medde

Il Comitato Economico Sociale Europeo si è riunito il 5 maggio in remoto per discutere e votare un documento in cui si chiede di aggiornare gli orientamenti per l’occupazione, adottati dal Consiglio Europeo prima dello scoppio della pandemia da covid19. L’assemblea del Comitato aveva all’ordine del giorno anche diversi pareri richiesti dalla Presidente del Consiglio Europeo. Il primo parere chiedeva l’implementazione del pilastro europeo dei diritti sociali e solide politiche economiche e sociali, il secondo riguardava invece “il finanziamento sostenibile per l’apprendimento permanente e lo sviluppo di competenze, nel contesto di una carenza di mano d’opera qualificata”. Un segnale importante per la formazione in una fase difficile per l’Europa, pure dal punto di vista finanziario.

Anche l’OCSE, recentemente, ha evidenziato, in un suo Rapporto, l’urgenza e la necessità di rafforzare la formazione continua in Italia, perché il 50% dei posti di lavoro ha un rischio significativo di automazione, e perché ci sono 3,5 persone anziane ogni 10 adulti in età lavorativa. Inoltre il 38% degli adulti ha scarsi livelli di competenze linguistiche o matematiche, uno dei livelli più bassi tra i paesi OCSE, il quale appunto sottolinea l’urgenza di “ rinnovare il sistema di formazione continua per consentire agli adulti di accedere ad opportunità di formazione che siano rilevanti e allineate ai fabbisogni del mercato”.

Sempre l’OCSE sostiene che in Italia la spesa pubblica per la formazione, nel contesto delle politiche attive del lavoro, sia molto bassa, e che “solo il 20,1% degli adulti partecipa ad attività di formazione, la metà rispetto alla media OCSE. Questa percentuale scende al 9,5% per gli adulti con competenze basse, e al 5,4% per i disoccupati di lunga durata”.

Alla formazione continua, considerata la situazione, non ha certo giovato, quanto a disponibilità di risorse, il prelievo sui fondi interprofessionali da parte del Governo.

Per tutte le tipologie di formazione professionale, non solo sulle attività di formazione continua, va sottolineata la grande e primaria rilevanza per il mercato del lavoro e l’economia, e per la consistente domanda formativa che proviene dai giovani, dalle famiglie e dalle imprese.

Si è voluto fare solo un breve richiamo alla funzione strategica della formazione per incrementare e qualificare le opportunità lavorative, e come strumento per sostenere lo sviluppo e l’elevazione culturale e professionale delle persone. In questa sede non vogliamo andare oltre nel documentare l’importanza della formazione professionale, che diamo per acquisita perché comprovata dai numeri dei diversi osservatori del mercato del lavoro e delle imprese, ma anche dalla consapevolezza delle rappresentanze istituzionali ai diversi livelli, sia in Europa che in Italia; almeno nella enunciazione di principi, se non nella traduzione concreta.

Partendo dalla rilevanza straordinaria del settore, si vuole invece avviare una seppur breve riflessione sulla legislazione della formazione professionale nell’Isola, alla luce delle competenze primarie, e in relazione alle diverse fonti finanziarie ( UE e Stato) che pure interagiscono in termini decisivi sul versante normativo e in fase attuativa con la legislazione di settore.

Le carenze presenti nel sistema, e il conseguente deficit formativo nell’Isola, e oggi l’emergenza sanitaria in corso, con la sospensione per circa due mesi di quasi tutte le attività produttive e dei servizi, hanno reso ancora più evidente e urgente la necessità di una riforma ordinamentale e regolamentare della formazione professionale, in un quadro però di forte rafforzamento dell’offerta formativa attraverso codificati e prescrittivi programmi pluriennali.

Da evidenziare che, mentre a livello nazionale il sistema educativo e della istruzione è stato oggetto di costanti riforme e revisioni, ivi compreso quello della Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), in Sardegna, dalla legge di ordinamento della formazione professionale, risalente al 1979 ( LR n.47 del 1° giugno 1979), si è proceduto soprattutto attraverso delibere di Giunta regionale (DGR), Determine e atti amministrativi dell’Assessorato competente.

Gli interventi normativi hanno riguardato: 1) l’istituzione, e successive integrazioni legislative, della lista speciale ad esaurimento dei lavoratori dipendenti delle Agenzie formative (LR11.5.2006 n.4, LR 5.03.2008 n.3, LR29.04.2013 n.10,LR11.01.2018 n.1) a seguito della soppressione dell’Albo regionale dei lavoratori della formazione professionale, istituito con la LR n.42/1989, e appunto cancellato con la LR n.7 del 2005; 2) due leggi del 2006 (LR n.4/ 2006. LR 9/2006) che prevedevano il conferimento di funzioni e compiti programmatori, amministrativi e di gestione alle Province in materia di formazione professionale. Norme, queste due ultime, che verranno successivamente rese vane dal sostanziale depotenziamento finanziario delle Province e dal limbo normativo in cui sino ad oggi sono state collocate.

Dalla soppressione dell’Albo regionale dei formatori, la Formazione professionale non ha più beneficiato di adeguati stanziamenti regionali, salvo quanto eventualmente previsto in fatto di cofinaziamento dalla Unione Europea e dallo Stato. Anche questo fatto, oltre a limitare la programmazione e attuazione dell’offerta formativa, ha forse contribuito al vuoto legislativo in un settore strategico per il mercato del lavoro e per la stessa società della conoscenza.

In realtà la competenza primaria della Regione non viene esercitata attraverso la legge di ordinamento, forse perché ampiamente superata dalla evoluzione delle istituzioni, dell’economia, del mercato del lavoro, e probabilmente perché ampiamente surrogata dalle norme nazionali, dalle direttive e regolamenti della UE.

Infatti quel poco di norme approvate in 41 anni, cioè dal 1979, dal Consiglio regionale hanno avuto carattere emergenziale,che destrutturava piuttosto che riformare. E’ totalmente mancata una nuova visione di sistema che doveva portare a valore aggiunto la competenza primaria, verso una più proficua governance del sistema formativo. Questo vuoto normativo è oggi fin troppo evidente, e viene colmato con risposte occasionali e sulla base di norme e regolamenti nazionali ed europei che, pur necessari, prescindono da una capacità programmatoria e attuativa che dovrebbe rendere giustizia alle specificità dell’Isola. La stessa competenza primaria obbliga la Regione a dotarsi di un sistema normativo in grado di riflettere la domanda formativa e le caratteristiche attuali dell’economia e della società sarda. Una legge ordinamentale non contiene solo principi la cui durata nel tempo può essere piuttosto lunga, ma anche aspetti di natura regolamentare, funzioni e individuazione di specifiche responsabilità che camminano con i tempi. Quarantuno anni è, per questo, un lasso temporale che obbliga a una rivisitazione normativa della formazione professionale.

In questa direzione, una nuova legge dovrebbe caratterizzarsi con un più selettivo e qualitativo standard dei soggetti attuatori, attraverso obiettive valutazioni di qualità professionale, di presenza territoriale e di monitoraggio dell’attività corsuale ex ante ed ex post, con una sorta di rating delle agenzie, e con adeguati strumenti di qualificazione,aggiornamento e tutela del personale, prevedendo anche una premialità negli avvisi sulla base di caratteristiche di efficienza ed efficacia dei soggetti accreditati.

Accanto a questi aspetti assumono rilevanza strategica, e di visione operativa, il rapporto e il coordinamento con i fondi interprofessionali, il rinnovo della programmazione pluriennale, con dotazione certe e vincolanti per anno formativo, e con fonti di finanziamento anche regionali, con meccanismi di spesa e pagamenti tempestivi e rendicontazioni per UCS (costi standard).

In questo contesto diventa indispensabile la istituzione dell’Osservatorio regionale della formazione, in grado di monitorare il fabbisogno formativo e di rilevare l’efficienza e l’efficacia dell’intero sistema, per consentire poi la presentazione annuale del Rapporto sulla formazione professionale da parte della Regione, e con l’apporto e partecipazione delle agenzie formative e delle parti sociali.

Si tratta, in questo modo, di adeguare le caratteristiche e gli obiettivi della formazione ai bisogni del territorio, alle necessità del mondo del lavoro e della persona, ma garantendo la generalizzazione delle procedure di selezione delle proposte progettuali con il sistema del “ catalogo “, che recepisce appunto la domanda che proviene dai bisogni territoriali e della produzione, consentendo a questo punto la scelta finale e ragionata da parte dell’utente.

Nella nuova legge è altresì necessario normare i poteri della Regione, ed evitare un accumulo di funzioni che da tempo pesa non poco in sede di attuazione dell’attività. Bisogna quindi intervenire su programmazione, impegno delle risorse,predisposizione e pubblicazione degli avvisi, procedure di assegnazione, controllo dell’attività e della rendicontazione, su accreditamenti e pagamenti; si è infatti di fronte ad aspetti del sistema che, inseriti nelle complesse procedure di gestione del bilancio della RAS, hanno portato la formazione a vivere in una giungla burocratica dove non è facile mantenere in piedi la dimensione imprenditoriale, anche per chi non deve distribuire utili.

Altri punti prioritari di una nuova legge ordinamentale riguardano: le caratteristiche e gli ambiti del sistema integrato e unitario di istruzione e formazione professionale, le competenze del nuovo ente locale intermedio, o della Provincia qualora dovesse riproporsi come indispensabile soggetto istituzionale territoriale, nell’ambito anche di un necessario decentramento di alcune funzioni della formazione, il ruolo delle agenzie formative accreditate ai servizi per l’impiego in fase di programmazione e attuazione delle politiche attive del lavoro, il coordinamento tra i diversi attori del settore, il rapporto tra istruzione,formazione e Università, per garantire la valorizzazione e fruizione della filiera della conoscenza, dell’apprendimento e del saper essere e fare.

Sono questi solo alcuni dei problemi da affrontare e normare in una nuova legge della formazione professionale da parte della Regione Sardegna.

È un percorso che va avviato subito, in una fase della legislatura non sottoposta a fibrillazioni elettorali, e avendo a disposizione il tempo utile, ma non lungo, per rispondere tempestivamente ai bisogni della società sarda, in termini congiunturali e di medio e lungo periodo.

In questa direzione è importante e utile valorizzare il ruolo delle parti sociali e delle agenzie formative, sia nella costruzione della nuova legge, sia in alcune delle funzioni che verranno inserite in norma e attinenti al miglioramento della governance del settore e per il raggiungimento ottimale dei suoi fini.