di Mario Medde
Non c’è libertà senza lavoro
Il lavoro continua ad essere svalutato e umiliato. In Sardegna è ridotto a fenomeno marginale, per i giovani quasi evanescente e impalpabile, e il più delle volte irraggiungibile. Una condizione fortemente penalizzante che defrauda di un diritto primario e che colpisce la persona e l’intera società.
Gli anziani vengono penalizzati due volte, come lavoratori e come pensionati, da un sistema di sicurezza sociale che non rende giustizia a quanti vorrebbero dare anni alla vita e vita agli anni.
È ormai evidente che non c’è libertà vera senza lavoro. Ma al forte e diffuso disagio sociale si contrappone una sorta di assuefazione al peggio della rappresentanza politica e istituzionale, ciò che poi non consente di incidere sulle condizioni di vita e di lavoro. È urgente che la Sardegna produca gli anticorpi necessari a evitare che continui la fase di declino e decadenza economica e sociale.
È dal lavoro che bisogna ripartire, perché sta qui l’epicentro dell’impoverimento dell’Isola. I dati del mercato del lavoro sono drammatici e preoccupanti, non solo per i livelli raggiunti, ma per la lunga evoluzione negativa della crisi, della disoccupazione e della povertà. Per dare un’idea bastano solo alcuni richiami statistici.
Tasso di disoccupazione primo trimestre 2013: 18,5%. Un aumento del 2,3 % rispetto allo stesso trimestre del 2012. Bisogna riandare al 1992 per registrare livelli così alti di disoccupazione.
In un anno la Sardegna ha perso 43.000 occupati. L’Isola, che rappresenta il 2,5 % degli occupati a livello nazionale, ha contribuito all’intera negativa variazione con il 10,5%.
Il secondo trimestre 2013 è ancora più allarmante: un tasso di disoccupazione al 18,6%, con un incremento del 3,6% rispetto allo stesso periodo del 2012. Anche il tasso di attività si porta al 59,5%, riducendosi del 2%. Il tasso di occupazione attesta un 48,3%, rispetto al 52,6 del secondo trimestre 2012. In questo periodo aumenta il numero di quanti hanno perso l’occupazione, 54.000 persone.
A questi dati bisogna aggiungere quelli che riguardano coloro che usufruiscono della cassa integrazione in deroga e di quella straordinaria, circa 30.000 persone.
Altro aspetto fondamentale dell’attuale congiuntura è poi la forte precarizzazione del mercato del lavoro con il costante venir meno della stabilità del posto di lavoro. Nel primo trimestre 2013 gli avviati a tempo determinato sono stati 34.351, quelli cessati 23.200; i lavoratori avviati a tempo indeterminato 9.237 e quelli cessati 9.807. Questi ultimi sono i dati del S.I.L. della Regione Sardegna.
Oltre 100.000 sono le persone che utilizzano tutta la varietà degli ammortizzatori sociali nell’Isola.
Le povertà sono diffuse, e quella materiale riguarda ormai un numero enorme di cittadini sardi: secondo l’Istat, in valori assoluti, coinvolgerebbe circa 350.000 persone. In realtà i numeri sono molto più consistenti, se si valuta la povertà relativa e assoluta in termini di reddito da pensione, di integrazione salariale, di indennità di disoccupazione, di lavoro precario. Si è di fronte a circa 650.000 sardi che vivono in una condizione di povertà o al limite della povertà.
Ridurre l’imposizione fiscale per il lavoro e le famiglie
È la crisi, senza precedenti, del lavoro dipendente, cui si aggiunge la difficoltà del lavoro autonomo di reggere l’impatto dello tsunami finanziario internazionale che si riversa nelle deboli strutture produttive isolane, assieme a un’imposizione fiscale e tariffaria che penalizza fortemente imprese e famiglie. Le diseconomie esterne al processo produttivo (trasporti, energia, credito, inefficienza della pubblica amministrazione e dei servizi, inadeguatezza delle infrastrutturazioni materiali e immateriali) rappresentano ancora prima una costante e pesante palla al piede dell’intero sistema Sardegna.
Lo stato sempre più leggero e lontano
È venuta altresì meno, rispetto al passato, un’occupazione consistente e diffusa nelle amministrazioni dello Stato, del parastato e in quelle che furono le “strutture” di servizio dello Stato (basta verificare quanta ne è andata persa nelle ferrovie, nelle poste, nell’Anas, tra i docenti e non docenti della scuola). Il personale pubblico, in rapporto alla popolazione e agli occupati, è diminuito, dal 2001 ad oggi, sia a livello nazionale che regionale. Hanno pesato le norme sul blocco delle assunzioni, i tagli ai trasferimenti a tutti i livelli, il mancato turnover, la cancellazione e razionalizzazione degli uffici.
Una corrente “di pensiero”, forte sul piano culturale, politico e ideologico, interprete o contigua al liberismo e mercatismo, continua a sostenere che l’eccesso di spesa pubblica derivi da un incremento degli occupati nel settore, e propone come antidoto ulteriori tagli e accorpamenti; dunque dopo le province ora i Comuni; e questo dopo che già da tempo si pagano gli effetti della cosiddetta razionalizzazione nella scuola e negli uffici periferici dei diversi Ministeri (che a partire dalla metà degli anni ottanta ha prodotto solo conseguenze negative). Gli sprechi, le diseconomie, la spesa fuori controllo sono causati non dall’eccessivo numero degli Enti Locali, così come non lo era per le scuole, né dagli ospedali presunti minori, ma da un modello di Regione che accentra e “divora” tutto il possibile, da un eccessivo e superato accentramento dei suoi uffici, da un sistema socio-sanitario-assistenziale che va rivisto, a iniziare dall’idea che solo le mega strutture realizzino un’offerta adeguata (che insista magari su uno o due poli, e rimuovendo l’urgenza di attivare i distretti e di rispondere a una popolazione distribuita in più di 24.000 chilometri quadrati).
Lo Stato si è reso più leggero, per fare fronte al deficit della spesa pubblica, ma sono peggiorati i servizi e le risposte ai cittadini, mentre migliaia di posti di lavoro, che rappresentavano una parte importante del tessuto che reggeva l’economia dei centri dell’Isola, sono andati persi. Nonostante ciò, la distribuzione del personale dipendente a tempo indeterminato per regione e livello di governo attesta ancora una forte prevalenza dello Stato centrale sulle Autonomie Locali. La distribuzione del personale dipendente, ogni 1000 abitanti e per livello di governo, vede le amministrazioni locali con una incidenza di 25,6 dipendenti ogni mille abitanti (Italia 23,7). Sono da valutare in questo contesto il peso e i vincoli delle caratteristiche geo-territoriali e demografiche, delle vicende storiche e la sedimentazione conseguente della rappresentanza istituzionale.
Ritornando a una valutazione di carattere più generale sui temi del lavoro e della disoccupazione, i problemi dell’insularità, dell’irrisolto rapporto Stato-Regione, dell’inefficienza dello Stato, cui bisogna aggiungere le responsabilità della politica sarda e i vincoli e i ritardi interni all’Isola, continuano ad essere la causa prima delle difficoltà in cui versa la Sardegna.
Un vero autogoverno della Sardegna nell’Europa dei popoli
Ridare valore al lavoro è dunque l’obiettivo primario di oggi e l’imperativo che deve guidare chi si assume la responsabilità di governare la Regione Sardegna e in generale la cosa pubblica. Soprattutto a fronte dell’evidente sconfitta di quanti inseguivano l’ideologia del risanamento dei conti e della crescita economica attraverso la svalutazione del lavoro e il salasso delle categorie più deboli. Una sconfitta che sta purtroppo più nelle dinamiche della crisi che nei rapporti di forza delle rappresentanze politiche nelle istituzioni. Le dinamiche della crisi economica e finanziaria hanno svelato l’inganno delle vere cause e responsabilità delle attuali difficoltà nel mondo, in Europa e in Italia. I governi sono però ancora ostaggio dell’ideologia mercatista; la stessa che ha prodotto danni irreparabili sul versante sia economico che sociale, mettendo a dura prova la tenuta democratica in molti Paesi dell’Europa e svelando nel contempo la strutturale debolezza di una Unione Europea costruita solo sulla moneta e sugli interessi forti della finanza e delle banche; oltre che di una burocrazia che si alimenta forte dei propri privilegi e della funzione di servizio rispetto alle corporazioni e agli interessi degli stati politicamente ed economicamente più rappresentativi.
La conseguenza di tutto questo è stata una crisi senza precedenti nell’economia e la perdita ulteriore di occupati. Ora si tratta dunque di ridare valore al lavoro, a iniziare dai presupposti necessari a che ciò si realizzi soprattutto nel governo costante dei problemi sul versante produttivo e aziendale e su quello dei diritti del lavoro e al lavoro.
Venti punti per l’autogoverno e per un programma di nuovo sviluppo della Sardegna
In questa direzione si richiamano, qui solo per titoli e in 20 punti, alcuni degli obiettivi prioritari da perseguire nei prossimi anni in un programma di nuovo sviluppo dell’Isola:
- Il riconoscimento alla Sardegna dello status di insularità, per recuperare le diseconomie esterne ai processi produttivi (energia, trasporti interni ed esterni, infrastrutturazioni materiali e immateriali) e garantire il diritto dei sardi alla reale mobilità delle persone e delle merci, alla continuità territoriale e a un adeguato sistema interno dei trasporti.
- L’autonomia finanziaria della Regione, innanzitutto per promuovere le basi materiali e immateriali dello sviluppo.
- La revisione del patto di stabilità.
- Un nuovo patto costituzionale tra la Sardegna e l’Italia i cui contenuti debbono essere approvati dall’Assemblea costituente del popolo sardo, che riveda anche la fiscalità e i tributi.
- L’attuazione del federalismo interno per la Sardegna e un nuovo assetto istituzionale, a partire dalla definizione di una nuova Regione, con l’affermazione del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale, anche con il trasferimento di funzioni, compiti e risorse agli Enti Locali, e la loro associazione al governo regionale.
- Interventi per migliorare l’efficienza e l’efficacia della spesa negli Enti locali e nella Regione, sul versante legislativo, organizzativo e burocratico.
- Tagli ai costi della politica e riduzione del numero degli assessorati e degli apparati, norme e regole in grado di eliminare l’eccessiva pervasività e intrusione della politica nel sistema burocratico, strumentale e di servizio della pubblica amministrazione e delle istituzioni.
- Nuove politiche del lavoro, con riforme di terza generazione per puntare sulla qualità del lavoro, sulla formazione e l’apprendimento continuo, incentivando il lavoro stabile e promuovendo l’accesso all’occupazione per le categorie più svantaggiate, e l’incremento della base produttiva.
- Un programma pluriennale per il lavoro giovanile e per la ricollocazione attiva dei disoccupati e dei lavoratori espulsi dai processi produttivi e che usufruiscono degli ammortizzatori sociali.
- La lotta alla povertà attraverso la revisione dell’attuale sistema di sicurezza sociale, istituendo l’osservatorio del sociale e delle povertà, rafforzando il fondo regionale di contrasto delle povertà e quello per la non autosufficienza, e migliorando le misure a favore delle persone diversamente abili.
- Interventi a favore della famiglia e della genitorialità.
- Le politiche per la formazione professionale, la scuola, l’università e la ricerca, con la proposta di dare loro maggiore dignità, una nuova legislazione di settore e più risorse.
- Il riequilibrio territoriale, tra aree interne, città, comuni minori, coste, nell’ambito di una nuova programmazione dello sviluppo, ecocompatibile, territoriale e regionale. Un progetto di reale integrazione tra aree, individuando opportunità e strumenti operativi per promuovere un equilibrato e vero sistema regionale.
- Nuove politiche per l’impresa, in primo luogo per promuovere innovazione di processo e di prodotto, anche attraverso l’impegno per un sistema bancario e creditizio più adeguato alle necessità del sistema economico, delle famiglie e delle persone.
- Valorizzazione delle produzioni specifiche e caratteristiche dell’Isola.
- Valorizzazione della cultura, dei beni culturali, ambientali e identitari dell’Isola, e del bilinguismo, quali tasselli fondamentali del disegno di costruzione di una nuova Sardegna.
- La promozione della competitività dell’intero sistema Sardegna attraverso il sostegno alla ricerca pura e applicata, all’innovazione tecnologica.
- Politiche per lo sviluppo del manifatturiero e della produzione e trasformazione industriale dei beni, dell’agricoltura, dell’allevamento, dell’industria turistica; il tutto nella compatibilità e rispetto dell’ambiente, in un quadro di adeguato e funzionale equilibrio tra i diversi settori produttivi.
- Politiche e norme che valutino l’accesso alla sanità, alla salute, all’educazione, alla formazione, all’acqua, alla casa, alla sicurezza, come diritti dei cittadini e non semplicemente come servizi.
- Il sostegno e la promozione della democrazia partecipata, valorizzando gli apporti delle rappresentanze sociali, economiche, degli Enti Locali e del volontariato. L’autogoverno dei sardi si deve infatti avvalere della dimensione democratica e sociale, cioè di un modello di democrazia che non si esaurisca con il momento elettorale e la vita istituzionale. Democrazia si coniuga con libertà se alla formazione della volontà politica concorrono, con la individuazione di specifici luoghi e momenti, anche le rappresentanze della società di mezzo.