di Mario Medde

Le politiche attive del lavoro non vengono realizzate in Sardegna con la necessaria speditezza. Anzi sono quasi del tutto ferme. Eppure non mancano le risorse finanziarie a ciò finalizzate. Il Fondo Sociale Europeo 2014-2020 garantisce una consistente copertura delle misure riguardanti le politiche attive del lavoro e quelle di inclusione sociale. Per i sette anni di programmazione è prevista una dotazione finanziaria di € 444.800.000, alla quale sono da aggiungere le risorse provenienti dalla programmazione unitaria; cioè da altre fonti di finanziamento compatibili con gli stessi obiettivi.

La delibera della Giunta regionale del 17.6.2015, riguardante la programmazione unitaria denominata “Priorità lavoro“ 2014-2015, prevedeva la spendita di € 325.000.000 per sette misure di politica attiva del lavoro, non avviate però nel corso dell’anno. Il bilancio 2016, nella missione Lavoro, scalava quella dotazione a € 212.200.000. Però, il totale delle risorse finanziarie per le singole azioni in campo è ancora di € 85.832.705,89, e comunque quasi tutte al palo, a eccezione di CRIS (Contratto di ricollocazione), come in dettaglio si evince dalla tabella allegata.

Inoltre, molte attività corsuali, da tempo già chiuse e rendicontate, riguardanti attività formative importanti nelle politiche attive del lavoro, non vengono pagate. Dunque ritardi inaccettabili sia per l’attuazione delle misure di politica attiva, sia per i pagamenti ai soggetti gestori. Il ritardo nell’approvazione del bilancio lungi dall’essere un alibi è un ulteriore elemento a carico. Così come il richiamo ai tempi della precedente programmazione 2007-2014. Infatti, il metro per valutare l’efficienza e l’efficacia è senz’altro la pronta risposta alle emergenze sociali e del lavoro, non i tempi e le lungaggini della burocrazia e della politica.

La dilazione dei tempi di realizzazione dei fondi strutturali europei, in questo caso del FSE e della stessa programmazione unitaria, attraverso la formula N+2 (pare addirittura avvicinarsi la possibilità di N+3), cioè i sette anni canonici, dal 2014 al 2020 più altri due anni aggiuntivi, non giustifica il sostanziale blocco delle misure e una inerzia che si protrae, per la quasi totalità degli interventi, da circa nove mesi.

È indispensabile: a) ridurre drasticamente i tempi di attuazione delle misure attraverso gli avvisi e i bandi, sia nella fase di predisposizione che di pubblicazione e successiva messa in campo delle attività; b) semplificare le operazioni dei diversi passaggi burocratici e procedurali; c) evitare l’elefantiasi burocratica e le rendite di posizione nelle catene di comando e di esecuzione; d) definire i tempi limite di attuazione nelle procedure e l’individuazione della responsabilità; e) ridurre i passaggi burocratici per rendere operativo un impegno di spesa; f) verificare l’impatto della prima fase di attuazione del bilancio armonizzato rispetto all’obiettivo dell’accelerazione dei pagamenti e della spesa.

Una inversione di marcia si rende necessaria dunque su tre obiettivi: 1) tempi di attuazione delle misure di politica attiva e della formazione; 2) accelerazione dei pagamenti e della spesa; 3) riduzione dei passaggi burocratici.

Per realizzare le finalità della programmazione unitaria e gli stessi obiettivi della Unione Europea il tempo non è una variabile indipendente; bisogna ragionare in termini di qui ed ora, cioè dei soggetti sociali che necessitano di risposte insieme alla tempestività del progetto da mettere in campo. È sotto gli occhi di tutti, allora, una divaricazione tra l’azione e i tempi della Regione e quelli dei disoccupati, dei lavoratori, dei giovani e delle stesse imprese. Gli indicatori negativi del mercato del lavoro in Sardegna si spiegano certamente con gli effetti della lunga crisi economica e sociale, ma anche con le difficoltà e i ritardi delle politiche della massima istituzione dell’Isola.

In particolare, il tasso di disoccupazione del 2015 era al 17,4%, con una riduzione rispetto al 2014 non sufficiente e comunque non derivante da un rafforzamento dell’economia. In aumento, invece, coloro che cercavano lavoro non attivamente e coloro che non cercavano ma erano disponibili a lavorare; si è di fronte cioè al fenomeno dello scoraggiamento che porta le persone a una ricerca ritenuta impropriamente “non attiva” del lavoro. A documentare il permanere delle difficoltà del mercato del lavoro isolano è il tasso di disoccupazione del primo trimestre 2016, 18,83%, rispetto al 18,16 dello stesso trimestre del 2015.

Utile per una riflessione sullo stato del mercato del lavoro nell’Isola, e sulla necessità di accelerare i tempi di attuazione delle misure di politica attiva, è l’andamento delle assunzioni per tipologia contrattuale, un dato di fonte SIL Sardegna. Nel 2015 per effetto della decontribuzione e del Jobs Act il numero delle assunzioni con contratto a tempo indeterminato è cresciuto del 57%: dai 31.906 avviamenti del 2014 ai 50.026 del 2015. I contratti a tempo determinato sono stati 195.155 nel 2014 e 193.481 nel 2015. Si è ridotto il numero delle altre forme contrattuali passando dai 57.118 del 2014 ai 50.650 del 2015. Il totale di tutte le forme contrattuali è stato di 284.179 nel 2014 e di 294.157 nel 2015. Le persone iscritte invece presso i Centri Servizi per il Lavoro della Sardegna, nella condizione di disoccupato o inoccupato, a fine dicembre 2015 sono state 461.197. Un dato in aumento. Quest’ultimo indicatore è da tenere in grande considerazione perché registra la volontà dei giovani e meno giovani di inserirsi nel mercato del lavoro, pur nella consapevolezza delle enormi difficoltà e del numero esiguo di opportunità lavorative.

Importante anche il dato ISTAT sugli occupati per settore di attività economica: nel 2015, rispetto al 2014, sono in crescita gli occupati in agricoltura e nelle altre attività dei servizi, mentre diminuiscono nell’industria, nelle costruzioni, nel commercio, negli alberghi e nei ristoranti. Si è di fronte dunque a una delle fasi più complicate della lunga crisi della Sardegna; per il perdurare della stagnazione economica e produttiva, per il logorio che da tempo sta provando e consumando le famiglie, tartassate anche da una insopportabile tassazione per i giovani che non trovano lavoro e che emigrano, per le difficoltà della politica e delle istituzioni di attuare strategie di forte contrasto della disoccupazione e povertà, per il permanere delle diseconomie strutturali derivanti dalla insularità.

Non si tratta semplicemente di resistere ai colpi della crisi, ma di contribuire tutti, ciascuno per le proprie responsabilità, a mettere in campo le risposte utili a lenire le difficili condizioni di vita e della disoccupazione e gli effetti drammatici della crisi economica e produttiva. In primo luogo questo compete alla Regione Sardegna e allo Stato, per le disponibilità di risorse finanziarie, per la responsabilità che hanno nella promozione dello sviluppo e del lavoro e per il loro ruolo di soggetti regolatori della nostra società.