di Pietro Borrotzu e Mario Medde dell'associazione "Carta di Zuri"
Recessione economica, disoccupazione giovanile di massa, desertificazione produttiva e industriale, pressione fiscale e tariffaria senza precedenti per famiglie e imprese: un'estate drammatica che annuncia stagioni ancora più difficili per la Sardegna, qualora non si corra ai ripari con interventi utili a contrastare la disoccupazione e la povertà e insieme a ridurre i lacci e lacciuoli per le aziende.
In Sardegna, sulla base di alcuni indicatori quali tasso di disoccupazione, ammortizzatori sociali straordinari e in deroga, e di una valutazione empirica, il numero delle famiglie senza reddito da lavoro supera il numero di 120.000 su un totale di circa 700.000 famiglie. Da tenere in considerazione che l'incidenza della povertà relativa delle famiglie nell'Isola riguarda un numero di circa 142.000 unità.
La popolazione 15-29 anni né occupata né inserita in un percorso formativo o di istruzione è in Sardegna al 27,6%. I giovani che lasciano la scuola senza un adeguato titolo di studio sono il 25,1%, in Italia il 18,1%. Il tasso di partecipazione al sistema di formazione e istruzione, nella fascia di età 15-29 anni è in Sardegna all'80,1%; in quella di 20-29 anni al 18,9%. Ecco perché l'obiettivo di ridurre entro la fine del decennio il tasso di abbandono scolastico al 10% è stato riproposto nell'ambito della strategia Europa 2020.
Per completare lo scenario del disagio sociale e giovanile nell'Isola è indispensabile sottolineare il tasso di disoccupazione nella fascia di età sino ai 29 anni, ormai oltre il 40% degli attivi.
È in questo quadro di impoverimento complessivo, di forte disoccupazione e precarietà, di deficit formativo che è necessario collocare l'urgenza di investire nel lavoro, nelle competenze, nella formazione e istruzione e in tutta la filiera della conoscenza.
È il tempo delle politiche attive del lavoro e della formazione per sostenere una nuova fase dello sviluppo e per ridurre in tempi rapidi la disoccupazione e la povertà; in primo luogo quella derivante dalla disoccupazione giovanile.
La gran parte dei Fondi europei deve essere destinata in via prioritaria a questi obiettivi. La Regione è in grado, se lo vuole, di garantire efficienza, efficacia e tempestività. La politica è in grado, se lo vuole, di garantire una burocrazia al servizio del lavoro e dello sviluppo. La buona politica dunque è la prima condizione per invertire il senso di marcia, promuovere la crescita e il lavoro, incentivare la " vita buona".
Proponiamo dunque che le risorse dei fondi europei 2014-2020 vengano spese in tempi rapidi nelle competenze e nella conoscenza, in un piano per il lavoro che consenta a migliaia di giovani di impegnarsi in attività di valorizzazione, risanamento e tutela dell'ambiente e dei beni culturali, archeologici e identitari della Sardegna, in programmi di intervento sociale a favore delle famiglie, degli anziani e dei non autosufficienti.
Sul piano più strutturale è però indispensabile avviare politiche di settore e territoriali in grado di rafforzare le imprese, riducendo o eliminando le diseconomie esterne al processo produttivo (energia, trasporti, assetti idrici, servizi alle imprese e lacci e lacciuoli della pubblica amministrazione), intervenendo anche come Regione sull'eccessivo carico fiscale e tariffario, avviando una strategia di livello regionale sul credito e sul rapporto con il sistema bancario.
Solo così l'impresa sarà messa in grado di produrre e competere a prezzi e costi competitivi, avvalendosi anche degli incrementi di organico e delle competenze promosse con adeguati programmi formativi. È in questo scenario che il sostegno all'autoimprenditorialità ha senso e può produrre effetti positivi per l'economia e il lavoro.
Il problema della disponibilità delle risorse finanziarie va affrontato riducendo gli sprechi, riformando le politiche di settore, riformando il sistema socio-sanitario per migliorare le misure e gli interventi sulla sicurezza sociale, eliminando duplicazioni di diversa natura nella burocrazia regionale, riducendo ancora i costi della politica, ristrutturando l'Ente Regione, ma anche rinegoziando con lo Stato il trasferimento di quanto dovuto alla Sardegna sul versante dei diritti erariali e tributari.
Solo così sarà possibile combattere la lunga fase di recessione economica e quella sorta di assuefazione alla crisi che condiziona negativamente l'intero sistema isolano.