Breve riflessione su denatalità, spopolamento e rischio antropologico nelle aree interne e nei comuni minori della Sardegna

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di Mario Medde

Due note sul problema denatalità e spopolamento. La prima, breve, riguardante l’Italia e le ripercussioni sul sistema previdenziale, la seconda, più articolata, sullo spopolamento della Sardegna, e, nello specifico, delle zone interne e dei comuni minori.

1) L’Italia invecchia e si spopola (- 2,9% nel 2022 ) e registra un tasso di natalità tra i più bassi al mondo. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sostiene che a causa di questo fenomeno, del calo del numero degli abitanti e della forza lavoro, nessun sistema previdenziale può reggere a lungo.

È il ragionamento del ministro che non regge, come ha sostenuto correttamente la CISL, evidenziando che la sostenibilità del sistema non è il punto di arrivo ma di partenza per invertire la tendenza demografica. Questa ha infatti cause evidenti che rinviano a vuoti politici e legislativi nelle politiche previdenziali e del lavoro, nelle politiche a favore delle famiglie, nelle politiche per il welfare sociale e l’infanzia, e, sul versante previdenziale, alla mai attuata separazione dell’assistenza (che va coperta dalla fiscalità generale) dalla previdenza.

Certo i numeri vanno tenuti sempre in grande considerazione, ma vanno interpretati e governati dalla politica dentro una strategia che valuti l’insieme delle questioni che attengono alla spesa pubblica, alla evasione fiscale, e all’obiettivo primario di un sistema che dia priorità ai diritti di cittadinanza e del lavoro, senza fare costantemente cassa con le pensioni. In caso contrario non sarebbe necessaria la politica e i politici ma un semplice ragioniere a fare di conto con i numeri.

È proprio questo il guaio della crisi odierna della politica, l’incapacità di porsi come soggetto di trasformazione e positivo cambiamento, di incidere sulla realtà e sulle sue difficoltà prefigurando anche il futuro, quello prossimo, mica quello dei prossimi vent’anni! Aveva ragione padre Ernesto Balducci, quando sottolineava il trionfo della immediatezza senza riferimenti valoriali forti: «Sulla polvere dei profeti passeggiano i ragionieri».

2) A margine, ma non tanto, di questa riflessione, il ragionamento sulle difficoltà demografiche della nostra Isola.

La Sardegna si spopola di più del resto d’Italia, con una riduzione del numero degli abitanti nel 2022 del 7%, e con il peggiore tasso di natalità tra tutte le regioni del Paese. Nel Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Lombardia la popolazione risulta invece in aumento. La fonte è l’ISTAT sulla base dell’ultima rilevazione demografica.

Dunque, insieme a una evidente questione sociale e di povertà e di assistenza diffusa indotta dalla crisi del lavoro, sono da evidenziare gli squilibri territoriali e lo spopolamento come l’altra emergenza rilevante della Sardegna. In particolare il fenomeno riguarda le aree interne e i comuni minori. È questo un ambito di elaborazione, di impegno e di iniziativa che ha caratterizzato la storia della CISL sarda. L’attenzione alle aree interne dell’Isola e alle periferie, sia come dimensione spaziale che sociale, è sempre stata parte del dna del sindacato, insieme alla rappresentanza di interessi e bisogni polverizzati e deboli, e di ambiti territoriali caratterizzati da arretratezza economica e da preoccupante povertà di vasti strati sociali.

Emergenze che riguardano per altri aspetti anche le periferie degradate delle città, i diritti di cittadinanza per gli emarginati,i disoccupati e i lavoratori precari.

Il problema dello spopolamento e delle aree interne riguarda soprattutto quei territori dove l’agricoltura, la pastorizia e la ruralità non sono garanzia di competitività economica, anche per via delle dinamiche produttive, delle scelte europee e delle politiche nazionali e regionali.
Qui lo spopolamento assume le caratteristiche della tendenziale cancellazione di aggregati umani e culturali. Si è di fronte infatti a una mera sopravvivenza di figure economiche, professionali e sociali, importanti invece per il presidio del territorio e per la stessa biodiversità, e a una bassissima natalità insieme all’invecchiamento della popolazione.
La conseguenza è anche la riduzione enorme della forza lavoro, soprattutto nelle aree interne (da evidenziare che in tutta l’Isola la percentuale delle personein età di lavoro è del 48%, contro il 53% nel resto del Paese).
È inoltre in atto da tempo il degrado di molte delle abitazioni dei vecchi centri abitati, ora di fatto abbandonate.

Offrire dei bonus per incentivare la permanenza nelle aree e nei comuni dove persistono questi fenomeni è del tutto inutile se non si valutano le cause che li determinano. L’assenza o la carenza di infrastrutturazioni materiali e immateriali (ad esempio il sistema delle reti), le difficoltà nel godimento dei servizi primari (sanità e scuola in primo luogo), il lavoro che non c’è per la mancanza di adeguate realtà produttive, l’assenza di norme costruttive e di riuso che evitino il degrado delle case ormai non più abitate, le irrisolte problematiche dell’allevamento e il vuoto delle politiche per le aree rurali e i comuni demograficamente minori, sono solo alcuni degli aspetti più evidenti dello spopolamento e degli squilibri territoriali.

È in atto un lungo ma inesorabile processo di perdita identitaria di molti comuni i cui antichi centri vitali si stanno spopolando, nella migliore delle ipotesi con una sola persona e anziana nel nucleo familiare, e con una sorta di effetto ciambella con il vuoto all’interno, e con nuovi insediamenti nelle vecchie periferie, dove peraltro nulla permane delle relazioni umane e sociali che caratterizzavano la comunità del paese.

Una sorta di nuova identità urbanistica, ma socialmente informe e liquida, con un processo di privatizzazione spesso senza contenitori di legami e relazioni comunitarie, soppiantate talvolta da occasionali sagre con tipologia culinaria o da appuntamenti pseudoidentitari.

Il rischio antropologico riguarda proprio la perdita di identità di un aggregato sociale e di un ambiente minati non solo dalla trasformazione dei modelli di vita ma anche dalle scarse opportunità che offre il territorio per errate scelte politiche e istituzionali, e che che non determinano nelle persone la positiva percezione del passato e la speranza del futuro.

È utile evidenziare che in Sardegna su 377 comuni 258 sono sotto i 3.000 abitanti, con 528.753 residenti, e il 31,6% della popolazione regionale, e che 31 comuni dell’isola rischiano l’estinzione tra 10 e 60 anni. Nel 1961 la popolazione dei comuni dell’interno era del 51% del totale regionale. Il 19,4% in più rispetto ad oggi.

L’area costiera ha avuto un aumento di più 52% rispetto allo stesso periodo. Il 90% dei comuni delle aree interne ha una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, l’83% ha una popolazione inferiore ai 3.000 abitanti. Tutti i comuni sardi ricadenti in aree periferiche e ultra-periferiche (secondo la metodologia DPD-UVAL) hanno una vocazione prettamente rurale.

Oltre sull’aspetto demografico è necessario dunque insistere sul tema delle aree interne come dimensione economica e sociale in difficoltà e sulle quali è indispensabile intervenire.

Si è dunque di fronte ad una realtà che necessita di provvedimenti legislativi, di misure e strumenti, di impegni finanziari per colmare queste differenze e per eliminare o ridurre le stesse diseconomie dell’Isola, per sostenere il lavoro e le imprese, per l’inclusione sociale attraverso politiche attive per il lavoro e la formazione, per una nuova ed efficace politica di welfare; obiettivi, che vanno programmati ed attuati con un forte coinvolgimento delle rappresentanze economiche e sociali, soprattutto in una situazione come quella dell’Isola, caratterizzata da difficoltà obiettive e vincoli di diversa natura, che per essere superati necessitano di unità di intenti, di apporti programmatici e di capacità attuative sia a livello locale che regionale.