La questione storica della CISL e gli obiettivi dell’odierna questione sarda

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di Mario Medde

La questione storica della CISL

Il problema storico della Cisl viene esaminato dal professore Vincenzo Saba scrivendo [Saba 2000] sulle riflessioni e proposte di Mario Romani, che così gran parte ebbe nella costruzione di quella peculiare identità che caratterizzò la CISL già dai primi anni di vita. Vincenzo Saba nei suoi scritti richiama anche i giudizi di Giovanni Marongiu sulla questione sindacale in Italia e i termini romaniani del problema.

Il nodo centrale della questione riguardava la cittadinanza sindacale in Italia nella società civile e nella politica. Il problema fondamentale posto da Romani e dalla CISL era quello di «radicare il lavoro soprattutto nella società civile, proprio in quel sistema di relazioni in cui vive con propri diritti il capitalismo organizzato» [Saba 2000]. In questa direzione, sosteneva Marongiu, richiamando Romani, è possibile al sindacato entrare nel processo economico di appropriazione, produzione e distribuzione, con un suo proprio e specifico ruolo, alla pari con altre forze che in esso agiscono senza spirito eversivo, ma anche senza complessi di inferiorità. «Il sindacato come associazione e la sua classe dirigente devono pensare a comportarsi come una formazione sociale e una classe dirigente “generali”: perché in effetti tali sono negli equilibri dei nuovi poteri politici e sociali. (…) È in tal modo, dunque, che il sindacato come libera associazione dei lavoratori attinge alla soglia della democrazia, diventando in essa oltre che un’autentica espressione di libertà, un’autentica espressione di partecipazione». Sosteneva dunque Marongiu che «proprio qui il sindacato, nel passaggio dalla sfera civile alla sfera politica, non per via statuale, ma per via democratica, trovava il punto più alto, ma anche il suo punto più delicato e più critico». La CISL dunque «si colloca nell’orizzonte teorico e politico di un pluralismo che già affonda le sue radici in una visione democratica dei rapporti sociali e politici, e alla quale è estranea ogni concezione organica e organicistica della società e dello stato» [Saba 2000 ]. E l’autonomia sindacale è la chiave di volta per affermare questa identità e ruolo.

La CISL sarda e l’avvio negli anni cinquanta

La CISL sarda nasce con l’apporto umano e organizzativo della CISL nazionale, ricorrendo anche a dirigenze esterne e formando nel contempo i dirigenti sardi per dare vita alle tre strutture delle Unioni Sindacali Provinciali. È un processo di costruzione della Organizzazione che arriva sino al 1956-58. Ma è con il dibattito nazionale e regionale sull’attuazione dell’articolo 13 dello Statuto speciale della Sardegna, con il convegno promosso dalla CISL nel febbraio 1960 sul Piano di Rinascita dell’Isola, con il documento delle tre Unioni Sindacali Provinciali del febbraio 1961 sul DDL del Governo sul Piano di Rinascita, che si avvia il processo di totale identificazione della CISL con la questione sarda e con sua specialità. Il riscontro sul piano organizzativo e politico si ha nel 1961 con l’avvio, responsabile Giannetto Lay, del Coordinamento regionale della CISL, e anni dopo, nel 1974, con l’elezione della segreteria regionale, con segretario generale lo stesso Giannetto Lay. È qui che la questione storica della CISL, nei termini “romaniani”, va a intrecciarsi con la questione storica della CISL sarda, dando vita a una originale e positiva esperienza di sindacalismo confederale e popolare.

Il popolarismo della CISl sarda

L’autonomia della CISL, come Romani e Pastore la pensarono e l’attuarono, incontrò dunque nell’Isola una operatività, un pensiero e una sedimentazione culturale e sindacale del tutto specifica, conseguenti a un ambiente strutturato da stratificazioni storico-culturali e condizioni geo-territoriali e dall’essere i Sardi un popolo, con il sogno, mai concretizzato, di diventare una nazione, ma con una specialità istituzionale e con l’obiettivo di rinascere sul versante economico e sociale attraverso quelle particolari condizioni di autonomia. Significativa ed emblematica la lettera che Giannetto Lay scrisse nel 1961 al segretario generale Bruno Storti [Lay] denunciando l’atteggiamento governativo teso a limitare, o a non considerare adeguatamente, il contenuto autonomistico dell’articolo 13 dello Statuto speciale della Sardegna, mortificando così le istanze e le speranze dei lavoratori sardi. Stanno proprio qui le radici della Cisl sarda come sindacato popolare, che mentre rappresentava i lavoratori e le esigenze di quel mondo capiva di interpretare anche l’interesse generale di un popolo e di una terra. Non un sindacato etnico ma popolare e parte di un più vasto movimento nazionale e di una organizzazione che nell’essere solo un sindacato cercava però di saldare lo sviluppo e il progresso del Paese con quello delle sue diverse e molteplici componenti istituzionali, sociali e produttive.

Negli anni successivi al 1974, e sino ad oggi, pur con accentuazioni e differenziazioni anche importanti, nelle leadership della CISL sarda è sempre stata presente quella originaria caratteristica che saldava l’imprinting di Pastore e Romani con il popolarismo identitario della CISL sarda, frutto delle specificità e della specialità dell’Isola.

I principali elementi dell’esperienza sindacale sarda

In questa direzione gli elementi costitutivi più rilevanti dell’esperienza sindacale sarda furono ( e sono ancora oggi): la presenza diffusa e il radicamento non solo nei posti di lavoro ma anche nelle comunità più piccole, date le caratteristiche territoriali e demografiche; il ruolo svolto nella programmazione regionale dello sviluppo e nel confronto sugli atti finanziari e di bilancio; le mobilitazioni dei lavoratori e di gran parte delle categorie sociali nelle lotte per la Rinascita; la consapevolezza della rilevanza primaria della elaborazione programmatica e attuativa del sindacato isolano, pur in un costante rapporto con le centrali sindacali e politiche nazionali.

Gli aspetti fondamentali dell’attuale questione sarda

Oggi, proprio per il permanere di gran parte delle caratteristiche della storica “questione sarda”, pur con soluzioni sostanzialmente diverse rispetto al passato per le nuove dinamiche economiche e istituzionali (ad esempio il peso della Unione Europea), si ripropone con maggiore forza l’urgenza politica e sindacale di dare continuità agli obiettivi di una nuova modernizzazione e sviluppo. In questa direzione gli aspetti fondamentali dell’attuale “questione sarda” riguardano le dimensioni: costituzionale, per una positiva evoluzione della specialità e della autonomia, in tempi di autonomia differenziata che rischia di incrementare il differenziale di sviluppo tra regioni povere e ricche, e per le prerogative assunte dalle regioni nella programmazione comunitaria; istituzionale per garantire un equilibrio tra poteri istituzionali locali e la Regione ( quello che in anni trascorsi veniva definito il federalismo interno); economica e sociale, per il superamento delle diseconomie interne ed esterne, che pesano sui positivi processi dello sviluppo e sul recupero dei differenziali di crescita tra regioni, per incrementare i bassi livelli di competenze e ridurre il tasso di disoccupazione soprattutto giovanile e femminile; geo-territoriale, per il riconoscimento dello status di insularità, non solo sul versante dei risarcimenti finanziari e dell’acquisizione delle pari opportunità e rimozione dei vincoli derivanti dalla insularità, ma anche come statuto positivo in Italia e in Europa.

Nell’affrontare queste problematiche, soprattutto per un sindacato, non è improprio collegare i diritti di cittadinanza, le lotte per il lavoro e contro le povertà, anche al diritto dei popoli, non solo a quelli degli individui, o meglio della persona. Infatti il diritto a uno sviluppo equo e solidale e a una giusta distribuzione della ricchezza rappresenta un principio basilare delle costituzioni democratiche; ma è da sottolineare che rispetto ai diritti individuali i diritti dei popoli hanno «un’affermazione più lenta e contrastata. I popoli non hanno una personalità giuridica internazionalmente riconosciuta, i loro diritti si confondono con i diritti degli stati, così come il popolo si confonde con lo stato» [Ardesi]. Sta qui il significato delle richieste dell’Isola per il riconoscimento dello status di insularità allo Stato e alla Unione Europea, non solo come questione geo-territoriale, ma soprattutto per rinegoziare il patto costituzionale tra Regione e Stato che ha formalizzato e riconosciuto la specificità e specialità della Sardegna.

Una nuova progettualità politica e istituzionale

È indispensabile dunque nell’Isola una visione strategica e una progettualità politica e istituzionale capace di indicare nuovi traguardi, migliorando e positivamente modificando le stagioni dell’Autonomia e della Rinascita. La progettualità politica e la questione sarda necessitano oggi dunque di una forte dimensione programmatica e di una eccezionale capacità attuativa. Al centro di questa nuova stagione è fondamentale il ruolo della mediazione politica, in una dimensione rinnovata e partecipata ben oltre la versione personalistica della rappresentanza, e con una pluralità di istituzioni (Comuni, Province, Regioni) in grado di consentire ai cittadini di concorrere, anche insieme alla mediazione sociale, alla formazione della volontà pubblica.

La conoscenza e la produzione di beni: aspetti prioritari di un progetto di cambiamento

A) La competitività dell'intero sistema regionale, la qualità dello sviluppo, la solidarietà, con una nuova visione strategica, hanno bisogno però di un forte e diffuso progetto incentrato sulla scuola, sull'Università, sulla Ricerca, sulla formazione professionale, soprattutto in un'economia e in un mercato fondati sullo sviluppo della conoscenza. Ma ancora di più perché le tutele, i diritti e il rispetto della persona si rafforzano se accompagnati da una maggiore istruzione e dalla socializzazione delle conoscenze e delle sue opportunità. Si tratta di un investimento nel capitale umano che è la premessa per costruire la società della conoscenza, l'ulteriore elevazione dei lavoratori, la crescita culturale, sociale ed economica, l’affermazione di leadership all’altezza dei tempi. La scienza e lo sviluppo tecnologico, con le professionalità e le risorse umane, veicolano la conoscenza a patto che venga diffusa e usata per promuovere lo sviluppo, garantire la competitività e la qualità stessa della vita umana.

Appare per questo sempre più necessaria una riflessione e una verifica sullo stato della ricerca scientifica in Sardegna, sui soggetti, sugli strumenti, sulle politiche e sulle risorse necessarie a rafforzare e sviluppare un settore primario e strategico per l'intera Isola, anche e soprattutto in funzione di una sempre più necessaria innovazione di prodotto, di processo e organizzativa di molte imprese sarde. Una verifica sulla ricerca e sullo sviluppo tecnologico è dunque più che mai urgente, sia per discutere sullo stato di attuazione delle risorse derivanti dal PNRR che dal Quadro Comunitario di Sostegno, sia per valutare il livello di integrazione con la comunità scientifica nazionale, europea ed internazionale. Gli altri elementi della filiera della conoscenza, la Formazione professionale, la Scuola e l’Università, sono altrettanto rilevanti per rilanciare l’Isola e per affrontare con successo i problemi posti dall’attuale questione sarda. In questa direzione è urgente una programmazione pluriennale in grado di avviare le necessarie politiche e misure utili a garantire la loro efficacia, verso l’utenza e i soggetti impegnati a erogare i servizi.

B) Tra i diversi e primari obiettivi da perseguire, l'industria e la produzione di beni rappresentano un settore centrale per rilanciare lo sviluppo e il lavoro nell’Isola, in stretto rapporto ed equilibrio con gli altri settori più importanti dell'economia regionale, l'agricoltura e la pastorizia, il turismo, i servizi e le lavorazioni ad alto valore aggiunto. Una strategia intersettoriale che deve avvalersi di un mix di politiche di sgravio fiscale e di incentivi sul capitale.

A tal fine lo sviluppo locale dovrebbe essere l'ambito privilegiato di intervento nelle le politiche di sostegno e nella gestione del ciclo unico di programmazione. Gli interventi a favore della internazionalizzazione delle imprese e alla esportazione sono inoltre un obiettivo che va rafforzato per le esigenze del sistema imprenditoriale sardo nel mercato nazionale e internazionale. In questa direzione vanno anche perseguite, con maggiore convinzione ed efficacia, le norme sul cosiddetto «potere estero» delle Regioni in materia di accordi e di intese con enti e regioni di Stati esteri.

Accanto a queste riflessioni e proposte è indispensabile affrontare con maggiore decisione ed efficacia da parte della politica e delle istituzioni sarde il problema irrisolto dell'autonomia finanziaria della Regione e della politica delle entrate,il recupero degli squilibri del bilancio regionale (ad esempio la quota di spesa sanitaria sul totale complessivo).

In conclusione, è da evidenziare, ancora una volta, l’utilità che le leadership sarde mettano in campo, su tutti gli obiettivi attinenti alla questione sarda , una visione strategica che saldi le risposte sui bisogni del presente con le idee e i progetti di lungo periodo;anche quando le dinamiche contingenti appaiono contrastanti e non del tutto fruttuose. Come sosteneva Romani in un convegno di studio della CISL, rivolgendosi ai dirigenti dell’Organizzazione «… Le idee hanno questo di buono, di onesto, che fruttificano comunque, anche quando non trovano piena realizzazione pratica, anche a distanza di tempo» [Saba 1996].

Norbello Febbraio 2023

Bibliografia

Luciano Ardesi, Dai diritti umani ai diritti dei popoli, in «Rivista telematica di filosofia»,1999.

Giannetto Lay, «Conquiste del lavoro»,19 marzo 1961.

Paolo Fadda, Cinquant’anni della CISL sarda 1950-2000, Fisgest. Divisione editoriale.

Francesco Lauria, Ettore Innocenti (a cura di), Giulio Pastore e il sindacato nuovo, Edizioni Lavoro.

Mario Romani, Il sindacato in regime democratico, in Sergio Zaninelli (a cura di), Il Risorgimento sindacale in Italia. Scritti e discorsi 1951-1975.

Vincenzo Saba, Quella specie di Laburismo cristiano. Dossetti, Pastore, Romani e l’alternativa a De Gasperi.1946-1951, Edizioni Lavoro, 1996.

Vincenzo Saba, Il problema storico della CISL. La cittadinanza sindacale in Italia, nella società civile e nella società politica (1950-1993), Edizioni Lavoro, 2000.

Mario Romani, Il sindacato in regime democratico, in Sergio Zaninelli (a cura di), Il Risorgimento sindacale in Italia. Scritti e discorsi 1951-1975.