La programmazione degli interventi in Sardegna

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di Mario Medde

1) È urgente e necessaria una programmazione unitaria delle risorse finanziarie che risponda alle esigenze specifiche della Sardegna.

La Sardegna vive una fase tra le più difficili della sua storia autonomistica. Forse paragonabile, per il livello dell’impegno richiesto per affrontare i problemi economici e sociali, al periodo postbellico. Diverse ovviamente le condizioni sociali, e pure il contesto europeo entro il quale si vanno oggi ad affrontare le emergenze conseguenti alla pandemia da covid19.

La stessa disponibilità delle risorse finanziarie non ha riscontro rispetto al passato. Le fonti di finanziamento cui attinge la Regione riguardano i fondi strutturali europei, il Fondo per la transizione giusta, il REACT EU, e il Fondo per la Ripresa e la Resilienza di cui al Recovery Fund, in aggiunta ai fondi più propriamente regionali e a quelli provenienti dallo Stato.

Definite le procedure previste dalle diverse fonti di finanziamento la Sardegna avrà a disposizione una notevole quantità di risorse finanziarie da investire per lo sviluppo, il lavoro e la sicurezza della salute dei cittadini.

La Regione ha predisposto una programmazione degli interventi sulla base delle procedure richieste dagli Organismi di cui alle diverse fonti finanziarie. I riferimenti strategici fondamentali riguardano un nuovo modello di sviluppo a partire dai contenuti dell’Agenda ONU 2030, con l’impegno di sradicare la povertà e raggiungere lo sviluppo sostenibile nel mondo entro il 2030, e il Documento della Commissione europea “Verso un’Europa più resiliente, sostenibile ed equa”, e infine, oltre al Bilancio EU, il programma Next Generation EU che prevede al suo interno un insieme coordinato di iniziative, il più importante dei quali è il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, sulla base del quale gli Stati nazionali hanno predisposto il proprio “Piano Nazionale per la ripresa e la resilienza” (PNRR).

Il PNRR propone quattro sfide strategiche e sei missioni. Le prime sono: 1) Migliorare la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia; 2) ridurre l’impatto sociale ed economico della crisi pandemica; 3) sostenere la transizione verde e digitale; 4) innalzare il potenziale di crescita dell’economia e la creazione di occupazione. Le sei missioni invece sono: 1)Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo;2) rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) infrastrutturazione per la mobilità; 4) istruzione, formazione, ricerca e cultura; 5) equitàsociale , di genere e territoriale; 6) salute.

Il vincolo di programmazione e spesa delle diverse strategie e fonti è quello di garantire unitarietà e complementarietà. L’opportunità è data anche dalla nuova fase della politica di coesione europea, dall’avvio della programmazione della strategia regionale di sviluppo sostenibile, e dalla programmazione del PNRR.

In questa direzione sono certamente fondamentali i soggetti di governo delle strategie, degli interventi e delle procedure, la eliminazione delle duplicazioni, la riduzione al minimo dei passaggi burocratici, la partecipazione delle parti sociali, la coerenza tra programmazione degli obiettivi e la loro attuazione, la rapidità esecutiva e di spesa. Priorità che invece non fanno parte, almeno per il momento, del governo delle politiche pubbliche e dello sviluppo nell’Isola.

Due aspetti fondamentali, e decisivi ai fini di un positivo risultato di questa programmazione unitaria, e non di un’altra storica delusione, sono la coerenza con le strategie più generali; quì però c’è fortunatamente il vincolo del trasferimento delle risorse, ma ancora di più è fondamentale la capacità di inserire nelle strategie e nelle azioni le attuali criticità sociali, economiche, del lavoro e sanitarie che pesano sul ritardo dell’Isola.

Non si tratta di eccellere in una sorta di ingegneria programmatoria, ma di partire dai reali bisogni delle persone, dei territori e dai problemi insoluti dell’Isola. Bisogna cioè verificare se quanto si sta approntando è coerente non solo con le strategie europee e dell’ONU, ma anche con le domande che provengono dai cittadini, dalle imprese e dai più generali bisogni della Sardegna. La coerenza con questi obiettivi va ricercata lungo tutta la filiera : strategie, obiettivi, macroazioni, azioni.

È utile richiamare, anche se solo per titoli, quali sono a nostro parere le criticità che vanno affrontate, e di cui bisogna trovare riscontro negli interventi per rimuoverle:

  • Diseconomie dell’insularità, che incidono all’interno e all’esterno del processo produttivo;
  • spopolamento delle aree interne e dei comuni minori;
  • aumento della disoccupazione giovanile e femminile;
  • imprese sottocapitalizzate;
  • configurazione giuridica delle imprese non adeguate al mercato dei capitali e alla internazionalizzazione dell’economia;
  • povertà educativa e deficit formativo e della istruzione;
  • notevole dispersione scolastica;
  • scarsa incidenza della ricerca pura e applicata con la realtà produttiva;
  • poca innovazione di processo e di prodotto da parte delle imprese;
  • pubblica amministrazione e Regione con burocrazia che appesantisce la capacità attuativa pubblica e privata;
  • infrastrutturazioni materiali e immateriali insufficienti a garantire la competitività del sistema Sardegna.

Si è di fronte ad aspetti del ritardo e dell’arretratezza dell’Isola che vengono da lontano, e che si sono incancreniti per responsabilità dello Stato ma anche delle leadership sarde che si sono succedute nel tempo. Dunque una crisi economica e sociale oggi aggravatasi per via delle conseguenze prodotte dal covid19, ma che interroga pesantemente e in negativo anche le lunghe stagioni della Rinascita e dell’Autonomia, e l’assenza dello Stato nell’affrontare lo storico problema del Mezzogiorno e una organizzazione realmente autonomista della Repubblica. Chi oggi assegna alla riforma del titolo V° della Costituzione, e al presunto eccessivo potere delle regioni, le difficoltà attuative e gestionali delle politiche nazionali, non si rende conto del ruolo di interdizione, controllo e cancellazione (anche attraverso l’impugnazione delle leggi regionali) delle norme approvate dalle Regioni, e del peso sempre maggiore della UE attraverso l’obbligo delle notifiche e il vincolo del rispetto delle direttive europee.

La riduzione enorme della spesa pubblica in Sardegna e nel Mezzogiorno (in attesa di un Piano per il Sud e le Isole che metta insieme sia le diverse fonti di finanziamento per le regioni che le risorse aggiuntive da parte dello Stato), l’emigrazione intellettuale, la dequalificazione della forza lavoro, l’incremento del lavoro precario e di bassa qualità, l’aumento delle povertà, compresa quella educativa e formativa, la denatalità e lo spopolamento, sono aspetti di una crisi dalla quale partire per programmare e attuare un piano regionale di ripresa e resilienza e per rilanciare lo sviluppo e la competitività del sistema Sardegna.

In che misura, con quali progetti e azioni, con quali tempi, in quali territori, in quali segmenti sociali, in che settori della pubblica amministrazione, con quante risorse, con quale governance, con quali fasi operative, la programmazione unitaria, di cui alle strategie dello sviluppo sostenibile, dei Fondi strutturali, del PNRR, si fa carico delle specificità e caratteristiche della crisi economica e sociale dell’Isola?

Mancano le risposte a queste domande, poiché le schede fin ora predisposte dalla Regione sono generali e generiche, in attesa dei dettagli che localizzino la programmazione e gli interventi nello specifico dei problemi della Sardegna.

2) Un’alleanza per le competenze, per la lotta alle povertà educative e formative.La conoscenza per cambiare e rilanciare la ripresa in Sardegna. Alcune brevi riflessioni.

A) Si fa un gran parlare di transizione ecologica, di transizione ambientale e verde( risparmio energetico e decarbonizzazione, investimemti in tecnologie ecocompatibili, economia circolare), di transizione digitale( digitalizzazione e innovazione delle imprese, e-government, sanità elettronica,ammodernamento del sistema educativo con e-learning,banda larga nelle regioni periferiche) di industria 4.0, di motori a idrogeno, di ricerca applicata alla energia, di mobilità sostenibile, e così via …. Il tutto per indicare che è in fieri, o quanto meno nella volontà delle istituzioni e della politica europea, una svolta nel modello di sviluppo e nella programmazione di scelte strategiche e decisive nell’economia, nelle produzioni, nei servizi, nelle stesse infrastrutturazioni materiali e immateriali indispensabili a garantire innovazioni di processo e di prodotto.

B) La transizione energetica è fondamentale per quella ecologica, e l’una e l’altra vanno collocate oltre che nella dimensione nazionale in quella globale. Non è solo questione di tecnologie adeguate, pure fondamentali, ma di scelte che vanno allocate nel mercato globale e comunque nei tempi che le innovazioni e le ristrutturazioni industriali necessitano. La stessa transizione digitale, pure indispensabile, e non solo per la Pubblica Amministrazione , presuppone una fase di preparazione e di sedimentazione. Dunque prima si parte e meglio si sarà in grado di incidere nella così detta fase di ripresa e resilienza e sulla durata della crisi, e soprattutto sugli effetti prodotti nella produzione e nel sociale.

C) La partecipazione delle rappresentanze sociali, economiche e degli Enti Locali a questo processo di grande trasformazione è indispensabile, non solo per ridurre le sofferenze delle ristrutturazioni, che non saranno certo una marcia trionfale, considerato quanto sta causando sulle intraprese la pandemia, ma anche perché, senza le corrette relazioni industriali e sindacali, è illusorio pensare a nuovi modelli di sviluppo e a qualsivoglia transizione verso un nuovo volto del modo di produrre e nella gestione delle nuove tecnologie.

D) La fuoriuscita dalla crisi, e ancora prima la fase di transizione per la programmazione e l’attuazione degli interventi a ciò necessari, presuppongono tutti (dovrebbero presupporre) un ulteriore sviluppo ed emancipazione delle forze produttive e delle diverse categorie sociali. Ma nella società della conoscenza, e dello sviluppo connesso con un ruolo eccezionale della scienza e delle innovazioni tecnologiche e della ricerca pura e applicata, alla lotta contro le povertà materiali, in aumento per le conseguenze del Covid19, deve urgentemente essere affiancata la lotta contro le povertà educative per i livelli non adeguati di scolarità e istruzione, e per le competenze ancora insufficienti a rispondere alla complessità della crisi e alla domanda che proviene dalle nuove esigenze produttive , economiche e dei servizi.

E) La Sardegna è la regione con la più alta percentuale di persone con la sola licenza media, e con il numero più basso di diplomati e laureati. L’ultimo censimento permanente ISTAT, relativamente alla Sardegna e all’anno 2019, riporta i seguenti dati sulla popolazione di 9 anni e più per grado di istruzione: 869.585 persone fino al secondario di I grado, di cui 10.524 analfabeti, 70.542 alfabeti privi di titoli di studio,248.640 con licenza di scuola elementare,540.149 con licenza di scuola media. Le persone con un secondario di II grado assommavano a 459.337 unità, mentre con un terziario e superiore a 185.460 unità, di cui 47.328 di I livello, 132.852 di II livello, 5.280 con un dottorato di ricerca o di alta formazione.

Il 28% circa dei giovani tra i 15-29 anni non studia, non lavora e non frequenta un percorso formativo, mentre il 24% dei giovani tra i 18-24 anni non ha un diploma.

Irrisoria anche la percentuale dei dottori di ricerca rispetto alla media nazionale e quella degli atri Paesi europei.

Altro elemento messo in rilievo dai dati del Censimento è il divario tra le aree della Sardegna: i piccoli comuni evidenziano le difficoltà di accedere alla formazione e istruzione rispetto alle città, un fenomeno che si sposa purtroppo con la tendenza allo spopolamento di questi centri e delle aree interne dell’Isola.

In questi casi la povertà educativa e di istruzione si accompagna a tassi di attività e di occupazione inferiori al dato regionale e a quello dei comuni classificati come Centri e comuni Polo.

F) Dunque è urgente e indispensabile che la Regione Sardegna, accanto alla altre quattro missioni individuate dal Piano di ripresa e resilienza, dia il giusto peso alla missione quattro, relativa alla istruzione, formazione , ricerca e cultura, e alla missione inclusione sociale che deve anche trattare la questione dei differenziali territoriali e dei relativi squilibri.

Ancora più di ieri, le libertà, le pari opportunità e la coesione sociale passano attraverso il rafforzamento della filiera della istruzione, della formazione e della ricerca. Attivando tutti canali che portano a una reale e diffusa società della conoscenza, non solo per garantire una maggiore competitività economica, ma pure per contribuire a una maggiore dignità della persona, superando quelle incertezze, preoccupazioni e diseguaglianze che la pandemia ha causato con effetti moltiplicatori in tutti i gangli della società.

G) In questa direzione è necessaria un’alleanza per la conoscenza e le competenze che accompagni e rafforzi la spinta al positivo cambiamento e alla ripresa economica e sociale della Sardegna. E’ però indispensabile che la Regione attui una svolta coinvolgendo le Rappresentanze sociali e gli Enti Locali nelle scelte più importanti della programmazione e attuazione del Piano di ripresa e resilienza e di tutta la programmazione unitaria; ivi comprese le risorse provenienti dai Fondi strutturali europei e dallo Stato,e provveda a cantierare misure di formazione continua per i lavoratori del bacino degli ammortizzatori sociali, finanzi gli interventi su tutte e tre le tipologie dell’apprendistato, rafforzi l’alta formazione, predisponga un Piano pluriennale contro la dispersione scolastica e per il diritto allo studio, sostenga,per la durata degli effetti nefasti del covid19, le agenzie formative impegnate a garantire un servizio con le caratteristiche del pubblico, rafforzi l’alta formazione e le Fondazioni a ciò impegnate, promuovendo anche quella per il biomedical e le biotecnologie.