Oltre la crisi. Alcune riflessioni per la ripresa

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di Mario Medde

Si sono appena chiusi i primi 20 anni del 21° secolo. L'ultimo anno, a causa del Covid 19, è stato quello più difficile e tormentato per l'intero pianeta. La pandemia sta causando due milioni di morti in tutto il mondo, stravolgendo anche la vita delle persone e incidendo non poco sulle regole democratiche dei Paesi occidentali. Le scelte adottate per limitare i danni del virus hanno infatti portato all'obbligo delle mascherine, al distanziamento sociale, alla limitazione della mobilità, al coprifuoco, alla riduzione della libertà di impresa e di quella personale, persino alla libertà di culto.

Il virus ha pure travolto il filo conduttore dell'ideologia liberista dominante in Europa: forte contenimento della spesa pubblica, tagli consistenti nell'intervento dello Stato, soprattutto della sanità, il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio.

L'urgente necessità di risorse finanziare, per fronteggiare l'emergenza sanitaria e le conseguenze sulle persone e sull'economia delle scelte adottate dai Governi, ha portato la Banca Centrale Europea e l'Unione Europea a varare provvedimenti utili a garantire maggiore liquidità e risorse finanziarie al sistema creditizio e agli Stati. Insieme all'acquisto dei titoli di Stato da parte della Banca Centrale, la UE ha messo in campo programmi quali il SURE per le Casse integrazioni dei lavoratori, il Recovery Fund per sostenere i settori strategici e gli investimenti nella resilienza e ripresa, il MES come linea di credito e nei limiti del 2% del PIL 2019 dello Stato richiedente. La gran parte di questi interventi non è però ancora operativa.

Per il momento, a distanza di circa un anno dall'inizio della pandemia, non si può dire che si sia riusciti a ridurre in termini consistenti il contagio. Tutte le speranze sono rivolte alla campagna di vaccinazione avviata a fine dicembre.

Nel frattempo si è notevolmente ridotta la produzione di ricchezza in Europa e nell'Occidente, mentre non si ritiene attendibile quanto proviene dalla Cina, sia sul versante Covid19, sia sul suo impatto nell'economia.

Da evidenziare che comunque, proprio nell'ultimo anno, si è ulteriormente acuita la concentrazione della ricchezza nel mondo. Sia la Banca mondiale che la rivista Forbes hanno documentato che i più ricchi hanno aumentato i loro patrimoni del 31%, mentre 150 milioni di persone si sono aggiunte a chi già vive in stato di estrema povertà, e che i dieci più ricchi della Terra hanno portato nei loro patrimoni altri 400 miliardi di dollari.(Dati riportati dal «Corriere della Sera»)

Si è dunque di fronte a una ulteriore polarizzazione della ricchezza e a un aumento delle disparità e delle povertà. Il virus e la pandemia non hanno dunque messo in crisi il meccanismo di accumulazione personale della ricchezza, anzi, in molti casi, il Covid19 ha rappresentato una opportunità per incrementarla. Un'altra dimostrazione, dunque, della capacità del capitalismo di utilizzare le crisi, non solo quelle finanziarie ed economiche, per rigenerarsi e per rafforzare i meccanismi di accumulazione e concentrazione delle ricchezze. Il virus,dunque, come una sorta di merce che produce altre merci. Non si tratta di dare un giudizio etico, ma di evidenziare come questa formazione economica e sociale, attraverso l'innovazione tecnologica, la ricerca, il mercato e il profitto, il pluralismo e la democrazia, ha comunque la capacità di creare ricchezza e libertà, ma con il vizio radicato della sperequazione e disparità sociale in assenza di sistemi più adeguati di regolazione. Il capitalismo non è infatti una configurazione dello spirito, ma una costruzione giuridica umana che, lasciata ai vincoli del solo mercato, crea pesanti e insostenibili ingiustizie, e limita talvolta, per le sue iniquità, lo stesso esercizio delle libertà personali e collettive.

Il 2021 non pone solo problemi connessi alla gestione del contagio del Covid19, ma anche all'impatto della pandemia sull'economia e sugli equilibri politici e istituzionali in Europa, negli Stati Uniti e in Italia; anzi, più che sugli equilibri politico-istituzionali, sulla stessa idea e pratica della democrazia. Una questione preesistente all'emergenza sanitaria, ma resa più evidente ed esplosa nel contesto dell'emergenza sanitaria. Non è chiaro infatti, oltre all'obiettivo da tutti condiviso di sconfiggere il virus, quale sia il disegno che si intende attuare in economia e nel modello di democrazia; atteso che il virus ha contribuito a modificare comportamenti economici, produttivi, istituzionali e sociali consolidati, che bisognerebbe ripristinare, correggere o sostituire. E comunque, non tutto quello che si è messo in campo in questa fase passerà come un temporale in una notte d'estate.

L'Unione Europea deve affrontare le difficoltà conseguenti alla Brexit e soprattutto quella sua configurazione istituzionale che non può prescindere dagli Stati che la compongono, e neppure esercitare la concentrazione di poteri e il monopolio della rappresentanza in ambiti che sono fondamentali per competere nello scacchiere internazionale. A ciò si aggiunga il peso che esercita la Germania e talvolta l'asse franco-tedesco nelle decisioni più importanti sia sul versante politico che economico; e ancora di più dopo l'uscita di Draghi dalla Banca Centrale Europea, dove era garanzia di autonomia e portatore di un disegno realmente europeo. Ma l'Unione Europea deve prima di tutto darsi un assetto democratico, e avere un disegno sociale, economico, della sicurezza interna e di politica estera sganciato da interessi di singole nazioni, ma rispondente a obiettivi, valori e identità condivise.

Gli Stati Uniti attraversano una fase della loro storia piuttosto complicata e caratterizzata da una radicalizzazione della rappresentanza sociale e politica che deborda dalla tradizionale adesione ai partiti repubblicano e democratico. Infatti il problema che si pone oggi negli USA non è solo, come sostiene qualche autorevole commentatore, l'assenza di una leadership e di una destra moderata, ma pure le caratteristiche del tutto nuove di un partito democratico che non riesce più a rappresentare quote consistenti dei ceti popolari e rurali, e degli stessi ceti medi, che hanno invece ingrossato le fila dell'ex presidente Trump. Il populismo, anche negli Stati Uniti, non è semplicemente una invenzione di leader carismatici, che pure talvolta lo rappresentano in forme radicali, ma pure causato dall'abbandono di interessi popolari e dei ceti medi, preda di un sistema finanziario ed economico globale sul quale non agisce alcun meccanismo regolatore degli Stato e delle istituzioni internazionali.

L'Italia, in una dimensione politica e istituzionale marginale rispetto al ruolo di USA, Germania, Francia, e, fuori dall'Occidente, di Russia e Cina, si ritrova ad essere il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro. La pandemia da Covid19 ha reso evidente la debolezza politica e istituzionale di leadership senza spessore e cultura politica, in un contesto di più generale rappresentanza che non riesce a superare la crisi epocale segnata dalla scomparsa dei partiti storici che dalla fine della seconda guerra mondiale, e protagonisti della Resistenza e della lotta al Fascismo, hanno caratterizzato la vita della Repubblica sino ai primi anni del 1990.

In piena pandemia, e con una recessione economica acuita dal blocco produttivo e dai provvedimenti antiCovid19, l'Italia si ritrova in una crisi di Governo figlia di un'alleanza tra partiti diversi per storia e ispirazione ideale e culturale. Un accordo nato a sua volta dalla crisi della precedente alleanza tra Lega e Movimento 5 stelle, usciti vincitori dalla competizione elettorale per il rinnovo del Parlamento. Si è di fronte agli aspetti residuali di una vicenda che ha origine nella crisi dei partiti " in grado di orientare i processi, organizzare i soggetti, spostare i rapporti, guidare i cambiamenti ". È la crisi degli aggregati sociali, di una società sempre più liquida e informe, e di uno Stato che, nella globalizzazione e nella finanziarizzazione dell'economia, non ha più il monopolio del potere, e dunque delle necessarie risposte economiche, finanziarie e sociali. Ha ragione Mario Tronti nel sostenere che, venuta meno la categoria del popolo la stessa democrazia ha perso i suoi soggetti costituenti, il demos e il kratos (il popolo e il potere). È in questo ambito che la crisi della rappresentanza, e nello specifico della sinistra, trovano la loro spiegazione più profonda, e che ha portato i partiti a trasformarsi in mere alleanze elettorali e per il solo potere. Questa nuova epoca è segnata anche dalla fine delle ideologie, e senz'altro da una potenziale maggiore libertà di pensiero, e ha liberato anche diversi popoli dal giogo delle patrie ideologiche. Quello spazio non è rimasto vuoto, ma si è riempito come sosteneva Ernesto Balducci dal "trionfo della immediatezza". «Sulla polvere dei profeti passeggiano i ragionieri. Le coscienze sono sempre più prigioniere di un presente che si è svincolato dal passato e dal futuro, ripiegate su se stesse, in preda a una soggettività senza destinazioni universali. In questo senso la storia è finita. Il sogno si è spento». Ma di fronte alle enormi sperequazioni economiche, continua Balducci, l'umanità è percorsa da brividi di regressione tribale e da volontà di potenza.

È una riflessione amara e ancora attuale per descrivere una fase delle dinamiche mondiali non definite e in corso, ma che lasciano comunque aperte tutte le possibilità a un profondo e positivo cambiamento, come lo stesso Padre Balducci sosteneva anni or sono. La fine delle ideologie rende però ancora più evidente il bisogno di dare senso alla vita delle persone, alle organizzazioni collettive e alla vita sociale, e agli stessi disegni strategici in primo luogo dell'Europa.

È tramontato quello che veniva definito il sogno americano,ma non si riescono a individuare le coordinate di quello europeo.

Il sindacato si ritrova dunque a rappresentare tradizionali e nuovi bisogni in un contesto di enorme difficoltà, nazionale, europeo e internazionale; peraltro vincolato ad agire in un ambito, quello nazionale, dove le dinamiche e i problemi sono decisamente condizionati da cause e conflitti globali, nelle migliori delle ipotesi da decisioni della UE, con la quale è comunque complicato confrontarsi e interloquire con i tradizionali strumenti del metodo e dell'azione del sindacalismo italiano. Può solo intervenire in seconda battuta e attraverso un confronto con il Governo nazionale, ma in una fase caratterizzata dalla strutturale debolezza del Paese e da una scarsa propensione della politica al dialogo e alla valorizzazione delle parti sociali.

Nonostante uno scenario difficile da decifrare nelle sue prospettive, e le notevoli difficoltà nel governo delle dinamiche attinenti all'economia, al lavoro, e in ultimo agli effetti della pandemia da COVID19, il coinvolgimento e il contributo delle parti sociali per il rilancio del Paese e della stessa Europa diventa decisivo sia in fase di programmazione che di attuazione degli interventi.

Su tutto ciò, però,non sono adeguati i comportamenti del Governo, e sul versante europeo non risulta un confronto in atto con la CES.

Che fare dunque in una situazione del genere? Non si tratta di ondeggiare tra un minimalismo operativo e tra massimi sistemi inconcludenti, ma di restare fortemente ancorati alle diverse dimensioni della ragione sociale del sindacato. Una sorta di passo del montanaro che colga però le difficoltà e le asperità del terreno, seguendo il sicuro tracciato per arrivare alla meta prefissata. In primo luogo la tutela del lavoratore,in attività e in pensione, attraverso l'azione sindacale in azienda, nel territorio, nel sociale, e con la difesa del reddito familiare, valorizzando il ruolo tradizionale dei delegati e delle rappresentanze sindacali nei diversi livelli, sino a quello nazionale. Contestualmente, proprio per le difficoltà dell'attuale fase economica e per i vincoli e le conseguenze della pandemia, è indispensabile farsi carico dei problemi più complessivi del Paese con la responsabilità di chi intende appunto partecipare a questa fase di resilienza e ripartenza. In assenza del confronto non resta però che rafforzare la moral suasion e le iniziative compatibili con le limitazioni dettate dalle prescrizioni governative per contenere il virus, e sperimentare anche metodi e azioni sindacali nuovi e originali rispetto a quelli tradizionali.

In questa direzione vanno sottolineate alcune proposte della CISL. Innanzitutto il documento titolato" Piano strategico in dieci punti. Le dieci proposte della CISL per l'Italia che riparte" e "Il manifesto per la nuova Europa unita e solidale: cinque punti programmatici per evitare la catastrofe economica e sociale", e infine il documento sul Bilancio 2021 presentato dal Governo.

Sono proposte che delineano una strategia di rilancio della ripresa economica e sociale del Paese, a partire dalla centralità del lavoro e dalla valorizzazione delle competenze, e con la tutela delle categorie più deboli e fragili; interventi inscritti in un disegno più complessivo di riforme necessarie a sburocratizzare il sistema Italia e a fare della conoscenza e della partecipazione il motore della ripartenza e del nuovo sviluppo. La stessa proposta su una nuova Europa è un tassello insostituibile di un progetto che apre alla speranza di una stagione più partecipata, sociale e democratica, quale deve essere l'Europa dei popoli e delle regioni.

Certo, permane come già evidenziato il mancato confronto con il Governo su aspetti decisivi del rapporto con l'Europa, ad esempio sul programma di resilienza e ripartenza e pure sul Bilancio per il 2021; al contrario di quanto è avvenuto con le commissioni parlamentari che hanno rispettato le audizioni nelle sessioni di loro competenza.

Ma le proposte del sindacato riflettono la volontà del mondo del lavoro, e sedimentano nella coscienza dei cittadini una volontà di cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro e la speranza che le difficoltà di questa fase vengano superate non solo chiedendo i sacrifici e le limitazioni delle libertà, e ci si augura con la sconfitta del virus, ma attuando scelte condivise per promuovere rapidamente la ripresa e per ripristinare e rafforzare tutte le libertà e i diritti di cittadinanza.

Anche in Sardegna l'esigenza è quella di dare maggiore competitività al sistema economico e produttivo, in un quadro di migliore e diffusa solidarietà sociale, di maggiore capacità di produrre ricchezza e di una sua più equa distribuzione. La priorità per raggiungere questi obiettivi è quella di rimuovere i vincoli esterni ed interni all'Isola. Sul versante esterno, riguardante il rapporto con lo Stato e l'Unione Europea,si tratta di riprendere, pur nell'attuale difficile contingenza connessa alla pandemia, il confronto con il Governo per il riconoscimento dello status di insularità, e, al suo interno, per il diritto alla mobilità dei sardi e delle merci, e dunque per le pari opportunità rispetto a tutte le altre regioni.

L'abbattimento delle diseconomie che affliggono storicamente la Sardegna passa anche attraverso le necessarie infrastrutturazioni materiali e immateriali, a iniziare dalla rete energetica, dal sistema formativo, dall'istruzione e dalla ricerca, e in primis da una rete socio-sanitaria, di prevenzione e cura, che, date anche le caratteristiche di universalità dei servizi, veda la partecipazione dello Stato ai relativi costi.

Sul versante interno, dunque delle dirette responsabilità dell'Isola, è indispensabile garantire l'efficienza e l'efficacia del sistema Regione, avviando un trasferimento di maggiori poteri e risorse agli Enti territoriali, delegificando, e quindi sburocratizzando, i passaggi utili all'attuazione degli obiettivi programmati e migliorando i tempi e la capacità di spesa. Certo esiste un problema più complessivo, e che riguarda il miglioramento delle leadership in un contesto di grandi emergenze economiche,sanitarie e sociali. Si è purtroppo di fronte a un fase storica di transizione, a un passaggio incompiuto che limita la selezione dei gruppi dirigenti.

Non si tratta di dare vita a un sistema degli ottimati, ma di favorire l'evoluzione della crisi dei partiti storici, ormai scomparsi, verso una rappresentanza politica e istituzionale non di mera sopravvivenza e consenso elettorale, ma legata ai bisogni e a un progetto sul bene pubblico cui restare vincolati in sede di governo. Certo non è facile, considerato che i partiti storici erano anche espressione di realtà e aggregati sociali ora polverizzati dai nuovi assetti produttivi e dalle nuove caratteristiche della economia. Ma la revisione istituzionale del sistema Regione in senso federalista e sussidiario può aiutare a legare gli eletti al territorio e alla società, insieme alla valorizzazione dell'intermediazione sociale nella programmazione dello sviluppo.

Da anni sosteniamo che la Regione, con l'attuale configurazione istituzionale e con l'esaurirsi della spinta propulsiva delle opzioni storiche (Autonomia e Rinascita), debba dotarsi di un nuovo disegno e progetto in grado di rappresentare la domanda di sviluppo, di nuovo lavoro, di maggiori tutele sociali, in un quadro di autodeterminazione compatibile con le dinamiche europee, con i processi della globalizzazione e con l'integrazione delle economie.

L'identità dei sardi è ancora un riferimento forte per rimotivare le idee, i valori, i progetti, e per unire le persone e le comunità della Sardegna. Ma ciò non è sufficiente se l'idea non diventa progetto e poi cantiere, e se la politica e il governo della cosa pubblica non valutino il tempo un dato vincolante in fase attuativa. È anche vero che, pur essendo la democrazia un fatto di regole e procedure, l'autonomia della politica, per evitare che deragliasse del tutto verso la corruzione e l'abuso, si è ormai ingabbiata nel potere burocratico, vanificando l'efficienza e la capacità di guidare il cambiamento.

Anche per questo, accanto alle dinamiche internazionali e nazionali, e per la degradazione della politica regionale, è da diverso tempo sospeso il lungo processo d'inclusione e integrazione che ha accompagnato la prima modernizzazione della Sardegna. Il passo del montanaro, anche in Sardegna, deve accompagnarsi a un grande disegno di positivo cambiamento della società e delle istituzioni sarde. Non si tratta infatti di andare lenti, ma di guidare con il pensiero lungo la propria andatura, sapendo quali strade e cammini percorrere, evitando le insidie e conoscendo la tappa finale. Fondamentale è che, in questo itinerario, come scriveva Max Weber, le leadership sappiano mettere insieme l'etica della convinzione, fondata sui principi, con l'etica della responsabilità, che commisurerà i mezzi ai fini.