di Mario Medde
1. La crisi economica in Germania è sotto la lente di tutti, istituzioni, politici, mass media, in Europa e negli USA. La ragione sta nel ruolo che ha svolto negli anni come locomotiva della UE e pure come azionista forte del sistema Europa. Ma l’attenzione è anche motivata dall’incidenza che l’economia tedesca ha sulle economie degli altri Paesi europei, a partire dall’Italia, e dalla crisi di un modello produttivo basato su energia a basso costo e da mercati come quello cinese non più penetrabile e facile come un tempo.
La guerra in Ucraina e le scelte europee e tedesche nel rapporto con la Russia hanno inciso non poco sulle dinamiche della crisi e nel determinare probabilmente una lunga stasi del modello di sviluppo basato sulle esportazioni e sulla energia a basso costo. La crisi dell’auto in Germania è solo la punta dell’iceberg delle più complessive difficoltà della sua struttura economica. La paura che serpeggia in tutta Europa è che la crisi della Germania con la sua recessione si propaghi in tutta l’area UE. La gran parte dei mass media, non solo italiani, e di autorevoli commentatori a livello europeo evidenziano questi aspetti delle difficoltà tedesche e quanto queste possono influenzare negativamente l’economia di tutta l’area UE.
Le scelte della UE sul versante energetico e sulle politiche industriali, in particolare con la Comunicazione della Commissione del 1° febbraio 2023 dal titolo “ Un piano industriale del Green Deal per l’era a zero emissioni nette “ e con il Regolamento sull’industria a zero emissioni nette, con le fonti finanziarie, l’efficientamento energetico e l’utilizzo delle rinnovabili, insieme alle direttive sull’industria degli ultimi cinque anni, non appaiono adeguate alla bisogna, ma al contrario incidono negativamente sulle dinamiche della crisi e sulle difficoltà delle imprese europee. L’esempio più evidente è la crisi in cui versa il settore auto che rischia di portarsi appresso l’intera filiera, quella dell’automotive, cioè dell’intero ciclo produttivo. Non si tratta solo del Gruppo Stellantis, ma di Volkswagen e Audi, Bmw e Mercedes, e in Francia, sostengono i sindacati, dal 2012 sono andati persi nel settore più di 70.000 posti di lavoro; tutte aziende messe in difficoltà dalla scelta della UE di imporre l’introduzione di nuove tecnologie nelle autovetture, prescindendo dai tempi necessari, dalle caratteristiche e tendenze della domanda, penalizzando la primazia europea nei mercati internazionali.
A parte il peso delle vicende connesse alla guerra in Ucraina e al rapporto con la Russia, si è diffusa la consapevolezza che le direttive e le regole imposte dalla UE, con il Green Deal, abbiano ancora di più pesato e negativamente sulla competitività delle imprese in ambito industriale. La UE agisce infatti prescindendo dalle scelte degli altri Paesi competitors e indebolendo anche così il suo sistema imprenditoriale.
2) La transizione energetica è fondamentale per quella ecologica, e l’una e l’altra vanno infatti collocate oltre che nella dimensione nazionale ed europea in quella globale. A differenza di quanto invece fa la UE. Non è solo questione di tecnologie adeguate, pure fondamentali, ma di scelte che vanno però inserite nel mercato globale e comunque nei tempi che le innovazioni e le ristrutturazioni industriali necessitano. Come recentemente ha sostenuto A. Cerretelli in un servizio sul «Sole 24 Ore» “ il Green Deal viene attuato a colpi di furore ideologico, ignorando il calcolo costi-benefici, analisi di impatto, tempi e modi di realizzarlo “. La Cerretelli evidenzia ancora che, mentre l’industria europea è in grande difficoltà, “Pechino è in quasi monopolio anche per batterie, pannelli solari, pale eoliche, materie prime strategiche, cioè controlla le leve della decarbonizzazione“.
Alla luce dei comportamenti della Commissione europea, la partecipazione delle rappresentanze sociali, regionali e territoriali, economiche e degli Enti Locali a questo processo di grande trasformazione è dunque indispensabile, non solo per ridurre le sofferenze delle ristrutturazioni, che non sono certo una marcia trionfale, considerato quanto ha causato sulle intraprese la pandemia, e sta causando oggi la guerra in Ucraina, ma anche perché, senza le corrette relazioni industriali, sindacali e la partecipazione delle istituzioni locali, è illusorio pensare a nuovi modelli di sviluppo e a qualsivoglia transizione verso un nuovo volto del modo di produrre e nella gestione delle nuove tecnologie.
3) Le vicende europee riguardano anche, e ovviamente, quanto accade in Sardegna sul versante delle scelte energetiche imposte dai Governi nazionali in conseguenza delle direttive europee, e sulle quali non è in campo una forte e adeguata opposizione della Giunta regionale, pure a fronte di una diffusa e consistente mobilitazione popolare.
Dunque ha ragione il sindacato quando chiede che la UE riconsideri tempi, regole e comportamenti relativi al Green Deal e per quanto riguarda la Sardegna, la rivisitazione delle norme sugli impianti delle rinnovabili non necessari all’autonomia energetica dell’Isola e non rispondenti a un Piano energetico regionale che dovrebbe basarsi invece su una pluralità di fonti energetiche.
Nessuna monocoltura energetica è in grado di rispondere ai bisogni della Sardegna, dei cittadini, delle famiglie, delle imprese e dello stesso equilibrio e stabilità della rete. La risposta sta in un mix energetico di metano, idrogeno, idroelettrico, eolico, fotovoltaico, biomasse.
I sistemi di accumulo di energia e i parchi di batterie agli ioni di litio non sono la risposta adeguata e utile finalizzata alla chiusura delle centrali a carbone perché non definiscono un percorso di bonifica, risanamento e rilancio industriale, da rapportare anche a una revisione del Piano Energetico Ambientale Regionale.
Circa la Legge nazionale su Terre rare e miniere vale quanto espresso sulla centralità delle procedure e dei poteri autonomistici che vengono ancora una volta violati dal Governo. Non si tratta infatti di respingere le scelte riguardanti l’approvvigionamento per garantire le materie prime necessarie ad accelerare la transizione digitale e verde, ma di condividere queste scelte rispettando però le prerogative della Sardegna (che ha poteri esclusivi in materia di cave e miniere) e le necessità dei sardi, onde evitare che ancora una volta alla estrazione e coltivazione dei minerali non segua un reale sviluppo e tutela dell’ambiente e dei territori.
È condivisibile l’istituzione di un’Agenzia regionale dell’energia a patto che nasca con alcuni presupposti politici prioritari sulle sue competenze, per evitare che si dia vita a un altro inutile carrozzone. Importante anche capire come l’Agenzia dovrà posizionarsi rispetto all’ENEL e agli altri operatori del settore.
4) È indispensabile anche sul problema dell’energia una ulteriore forte e diffusa iniziativa politica, sociale e istituzionale per avviare un serio e fattivo confronto con il Governo nazionale, soprattutto nel rapporto che questa materia ha con il rilancio della industria e con le infrastrutturazioni materiali e immateriali dell’Isola, con il sistema dei trasporti e la reale mobilità delle persone e delle merci.
Non sarebbe male se quanto prima si pervenisse a una conferenza regionale sull’energia, non solo come momento di ascolto e sintesi del dibattito e delle mobilitazioni in atto, ma anche per preparare una rivisitazione del Piano energetico regionale, del PEARS, del rilancio del sistema industriale e manifatturiero.
Si tratta, infatti, per la Regione Sardegna di promuovere le necessarie iniziative per programmare e creare le condizioni per uno sviluppo produttivo ed economico che si inserisca nelle scelte e dinamiche europee, ma riviste e adattate ai tempi e alle dinamiche del mercato globale e delle specificità territoriali e regionali; in particolare ci si riferisce a quelle della transizione energetica e digitale, dei programmi connessi a industria 4.0 sulle tecnologie innovative e materiali avanzati per una produttività sostenibile, di industria 5.0 per la transizione digitale ed energetica che pone però al centro la persona, il benessere e le comunità. Il tutto da programmare, per quanto riguarda la Sardegna, rimuovendo le diseconomie derivanti dalla insularità e migliorando la qualità della gestione politica e istituzionale, anche attraverso la riforma dell’Ente Regione e di quello intermedio, per rafforzare così la capacità attuativa all’insegna del principio di sussidiarietà.
5) Non solo in Europa, dunque, ma anche in Sardegna, gli obiettivi del Green Deal devono essere rapportati a una credibile e praticabile strategia di politica industriale e produttiva.
Per quanto riguarda l’Isola, mentre resta importante il riavvio di rilevanti comparti industriali, come quello dell’alluminio a Portovesme, è utile ribadire l’obiettivo della chimica verde a Porto Torres, l’attuazione del Piano Sulcis, la valorizzazione dell’agroalimentare nell’Oristanese, il rilancio delle politiche di sviluppo ed il Piano per il Nuorese e l’Ogliastra, il rilancio degli investimenti infrastrutturali e industriali nel Medio Campidano, nel Cagliaritano, e il sostegno ai lavoratori nelle varie aree di crisi regionali. Nel contempo si è consapevoli che la ripresa dell’industria deve garantire l’attenzione all’ambiente ed alla salute delle persone.
Lungo questo percorso, il rilancio di una nuova idea e attuazione di politica industriale passa attraverso il perseguimento del riequilibrio territoriale (aree interne, città, comuni minori, coste) come parte fondamentale di una nuova programmazione regionale dello sviluppo, per garantire una reale integrazione tra aree, e dunque la costruzione di un vero ed equilibrato sistema Regione. Ma per garantire all’industria e al sistema produttivo la necessaria competitività è indispensabile rafforzare le competenze dei giovani e del mondo del lavoro, gruppi dirigenti inclusi.
6) Lungo queste necessita e scenari, il problema delle competenze diventa urgente e da affrontare utilizzando soprattutto le ingenti risorse del FSE e della nuova programmazione dei Fondi strutturali 2021-2027, coinvolgendo le agenzie formative accreditate, le Accademy ITS, le Università, le aziende interessate con un ruolo centrale, attivo e decisivo. In questa direzione è necessario rilanciare gli interventi e le misure di politica attiva del lavoro, della formazione professionale e della istruzione, e la tempestività e congruità delle politiche passive per coniugare la tutela del reddito con l’inserimento nel mondo del lavoro.
Per questo è urgente una maggiore e più efficace attenzione, in fase di programmazione e attuazione, da parte dello Stato e della Regione, alla filiera della scuola, della formazione professionale, dell’Università, della Ricerca scientifica, pura e applicata, come parti di un sistema integrato, per guidare la Sardegna, con l’innovazione tecnologica e le risorse umane, verso una nuova fase di cambiamento e di crescita. La centralità dell’istruzione impone dunque, non solo allo Stato, ma anche alla Regione Sardegna, di rafforzare l’efficacia e la qualità dell’intero sistema. Si tratta di intervenire per un pieno accesso al diritto allo studio, di garantire in ogni territorio la necessaria dotazione di strutture e infrastrutture, dalla edilizia alle reti di connessione, indispensabili per il buon funzionamento della scuola. È altresì urgente un diffuso rafforzamento del tempo scuola, delle dotazioni organiche, delle mense e dei trasporti.
La strategia di specializzazione intelligente avviata dalla Unione Europea, e da attuare con i tempi necessari e nel rispetto della programmazione dei territori e delle Regioni, è una opportunità anche per la Sardegna perché consente di connettere la valorizzazione e lo sviluppo delle risorse umane, attraverso migliori e maggiori competenze, con le sei priorità individuate: ICT e reti intelligenti per la gestione efficiente della energia, agroindustria, aerospazio, biomedicina, turismo, cultura e ambiente. In questa direzione diventa fondamentale il progetto dell’Einstein Telescop a Sos Enattos, in territorio di Lula.
7) L’analisi condotta evidenzia ancora una volta come la Sardegna si trovi a dover affrontare una transizione industriale facendo i conti su un sistema manifatturiero e dell’edilizia fortemente squilibrato sia rispetto al comparto dei servizi, pubblici e privati, sia tra grande industria fortemente concentrata in alcuni specifici settori, le pochissime medie imprese e una moltitudine di micro-piccole imprese anch’esse concentrate su alcuni settori piuttosto maturi, rivolti prevalentemente al mercato interno e poco o per nulla integrate nelle catene globali del valore. Tutti elementi che rendono oltremodo complessa la ripresa, il tentativo di ridurre i divari con le aree più sviluppate d’Italia e d’Europa e sostenere la transizione verde e digitale del nostro sistema produttivo e dell’intera società sarda, però nei tempi necessari a evitare ulteriori problemi ai settori produttivi e valutando il rapporto costi-benefici.
Pur tenendo conto delle difficoltà attraversate con la crisi COVID, e ora con la guerra in Ucraina, risulta evidente che una Regione strutturata ed organizzata in maniera efficiente è un presupposto fondamentale per assicurare un’adeguata programmazione delle politiche di sviluppo, a partire da quella industriale. È per questo che si rende ineludibile una riforma dell’Ente Regione e dell’Ente intermedio, per garantire efficienza ed efficacia all’azione pubblica e per affermare il principio di sussidiarietà.
A partire dal 2020 sono state attivate misure di policy di notevole rilievo che si sono andate a sommare con gli interventi anti-crisi varati sia a livello nazionale che regionale, tra queste spicca certamente il PNRR. Complessivamente, tra risorse PNRR, Piano Nazionale Complementare, Fondo di Sviluppo e Coesione, e Fondi di coesione UE, stiamo parlando di risorse almeno pari a 5,2 miliardi di euro. La quasi totalità di queste risorse è di fatto ancora ferma al palo.
Alla data attuale, come sostiene correttamente un documento della Cisl sarda, non sono stati definiti nuovi strumenti di aiuto per gli investimenti delle imprese per il nuovo periodo di programmazione, dal momento che gli strumenti varati nella passata fase di programmazione hanno esaurito il proprio compito e richiederebbero degli aggiustamenti ed adeguamenti.
Al momento non è chiaro quali strumenti di politica industriale si intendono finanziare con le risorse della prossima programmazione UE, per i quali si registra un sostanziale “vuoto” che ormai perdura da lungo tempo.
Con l’approvazione del PO FESR 2021-2027 sarebbe stato possibile partire rapidamente attivando strumenti funzionali a conseguire gli obiettivi strategici più idonei ad affrontare gli effetti dell’attuale crisi, aggredendo le criticità strutturali del nostro apparato produttivo.
Ma, al momento, l’industria sarda si trova in una sorta di “limbo” dove alle notevolissime disponibilità finanziarie non corrispondono strumenti utilizzabili a sostegno della ripresa e, soprattutto, appare evidente come i relativi flussi finanziari tarderanno sicuramente ad essere resi disponibili per le imprese che dovessero risultare beneficiarie.