Alcune righe di riflessione su un saggio di Vincenzo Saba
di Mario Medde
I grandi cambiamenti del Sindacato confederale, nello specifico della CISL, si sono sempre collocati all’interno delle vicende sociali, politiche ed economiche in determinati periodi della storia del Paese. Frutto anche della intelligenza e passione di alcuni uomini, talvolta neppure dirigenti in senso stretto, che misero a disposizione del sindacato un sogno e un progetto profetico; come scrisse Vincenzo Saba “un sogno nel senso biblico, cioè il sogno dell’ebreo Giuseppe che anticipa e prepara l’azione realizzatrice”.
Il saggio di Vincenzo Saba Quella specie di laburismo cristiano. Dossetti, Romani e l’alternativa a De Gasperi 1946-1951*, pur trattando fatti di circa settanta anni or sono, è interessante dal punto di vista storico e cul-turale, da un lato perché le vicende raccontate furono determinanti per la costruzione del nuovo sindacalismo democratico nel nostro Paese, dall’altro perché consente di capire meglio una fase del dopoguerra attraverso la rievocazione della discussione interna alla Democrazia Cristiana e del ruolo di Dossetti e Romani nell’idea e nella pratica di “adeguare, in una prospettiva laburista e aconfessionale, la cultura, l’azione politica e l’azione sindacale dei cattolici italiani alle esigenze di radicali trasformazioni economiche, sociali, culturali, morali (da realizzare con il contributo determinante delle forze del lavoro), che la situazione italiana avrebbe richiesto”.
Il saggio di Vincenzo Saba richiama fatti ed evidenzia problemi e protagonisti determinanti per lo sviluppo democratico e poi economico e sociale dell’Italia. Si tratta di questioni che si ripropongono ancora oggi, pur con prospettive e soluzioni diverse, all’attenzione del cittadino, del sindacato e della politica. Una data e un avvenimento, tra i tanti richiamati nel saggio, assumono comunque centralità, soprattutto per il mondo del lavoro, perché incisero radicalmente nel modello di sindacato e nella stessa storia del Paese.
Si tratta del 20 giugno del 1950, quando il Consiglio generale della CISL approva un documento dal titolo “Linee di indirizzo dell’azione sindacale”, diviso in tre parti: avvenire del sindacalismo, problemi dell’azione sindacale, obiettivi dell’azione sindacale. Una tripartizione che pure oggi ci interroga per garantire attualità e forza all’impegno sindacale. L’aspetto fondamentale riguarda il ruolo del sindacato nuovo in una realtà storica, dove, come recita il documento, “l’evoluzione subita dal sistema economico, dalla nascita del sindacalismo moderno fino ad oggi, e specialmente dopo la prima guerra mondiale, impone di riconsiderare la natura del movimento sindacale e della sua azione, alla luce dei nuovi rapporti economici e politici che sono maturati nel processo di trasformazione del sistema capitalistico”.
Il documento, affrontando il problema della vera natura del movimento sindacale, sancisce quella che Vincenzo Saba evidenzia come la indipendenza dottrinale e politica del movimento sindacale dai partiti politici. Il documento infatti sottolinea come “vada considerata con attenzione e cautela qualsiasi sistemazione giuridica del movimento sindacale, avendo presente che non deve in alcun modo determinare remore all’azione sindacale o vincolare la possibilità di sviluppo e di potenziamento del sindacato”. Viene inoltre evidenziato che il movimento sindacale non deve perdere la sua natura di libera e spontanea associazione di lavoratori “per diventare uno strumento amministrativo dello Stato oppure uno strumento politico dei partiti”. Nel suo commento Saba sottolinea ancora come il documento superi “gli elementi di rigidità contenuti nella posizione storica della corrente sindacale cristiana a favore del cosiddetto autogoverno delle categorie”.
Il documento presentato al Consiglio generale della CISL era stato predisposto da Mario Romani e dall’Ufficio studi, e ovviamente condiviso da Giulio Pastore, ma con il parere contrario di Carlo Donat Cattin e di Giuseppe Rapelli che tentarono di far passare un ordine del giorno alternativo.
A distanza di 67 anni da quel Consiglio generale molto è cambiato nella società, nell’economia e nelle istituzioni, e ovviamente anche nel sindacato. Ma quell’avvenimento del 20 giugno 1950 ci spinge ancora ad interrogarci, proprio per i grandi mutamenti di oggi, e per la velocità e consistenza delle dinamiche della globalizzazione, sull’impostazione e sui contenuti di quel documento e sul modello di sindacato utile a rispondere ancora una volta alle sfide del cambiamento.
L’importanza del libro di Vincenzo Saba non sta quindi solo nella rigorosa ricostruzione storica di avvenimenti così importanti per il sindacato e per il Paese, ma anche per gli insegnamenti che dalla lettura si traggono e per la sottolineatura dell’importanza che la cultura sindacale e del lavoro ha avuto come elemento trainante dello sviluppo economico e sociale dell’Italia. Molto significativa, quasi profetica è la conclusione del saggio, che riporta una frase di Mario Romani a un convegno di studio nel 1973: “… Il senso dei tentativi di questo tipo sta nel loro inserirsi in una data realtà, più che nei loro esiti a breve o a media scadenza. Le idee (…) hanno questo di buono, di onesto, che fruttificano comunque, anche quando non trovano piena realizzazione pratica, anche a distanza di tempo”.
*Vincenzo Saba, Quella specie di laburismo cristiano. Dossetti, Romani e l’alternativa a De Gasperi 1946-1951, Edizioni Lavoro, Roma 1996