Per il lavoro, soluzioni adatte alla Sardegna

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di Mario Medde

L'emergenza lavoro è ormai una priorità per la Sardegna. Da nessuno negata per l'evidenza degli indicatori riguardanti il mercato del lavoro e l'economia, che riflettono la più preoccupante condizione di disagio e malessere della gran parte dei sardi.

L'assenza di lavoro non è un problema solo sardo, ma da noi pesa ancora di più l'evoluzione negativa del fenomeno della povertà materiale che, come riflesso della crisi produttiva e della disoccupazione, ha registrato negli ultimi nove anni un incremento che non ha riscontro nel resto del Paese, e che ha portato l'incidenza della povertà relativa delle famiglie a soglie vicine al 22%.

La nuova legislatura regionale dovrà dunque affrontare con nuove politiche e strumenti la questione lavoro, quello che c'è e ancora di più quello che manca.

Atteso che la crescita economica e lo sviluppo, in grado di dare risposte consistenti e durature ai disoccupati e ai precari, attraverso l'impresa e la produzione di maggiore ricchezza, non è dietro l'angolo, sia per la contingenza economica internazionale ed europea, sia per i vincoli interni all'economia e alla società isolana, è necessario attestarsi su un programma che copra le emergenze e il lungo periodo di crisi, e su interventi di natura più strutturale e di medio e lungo periodo.

In questa direzione, un provvedimento che nel suo complesso necessita a regime di un tempo adeguato, ma da avviare subito con alcuni interventi di monitoraggio e correttivi, è la riforma del sistema regionale di sicurezza sociale; la priorità è una legge quadro che riordini i provvedimenti di tipo assistenziale e congiunturale. Le misure oggi in essere sono infatti molteplici, da verificare e razionalizzare anche rispetto alle norme nazionali, e da adeguare ai nuovi bisogni. Gli interventi di politica attiva del lavoro sono altrettanto numerosi, ma va valutata la loro efficacia e, in casi importanti, le cause delle difficoltà di attuazione (ad esempio per l'apprendistato nelle sue diverse forme).

Altro obiettivo urgente è la riforma della istruzione (diritto allo studio e rete scolastica) e della formazione professionale. Il problema della conoscenza e delle competenze è un aspetto primario della crisi del lavoro nell'Isola.

Sul piano più strutturale la promozione del lavoro passa soprattutto attraverso la eliminazione delle diseconomie esterne al processo produttivo (trasporti e continuità territoriale, energia, gestione idrica, servizi della pubblica amministrazione, credito, infrastrutturazioni materiali e immateriali); da sperimentare è inoltre una politica regionale fiscale e tariffaria compatibile o negoziabile con le prerogative dello Stato.

Si tratta di fare una politica per l'impresa e il territorio in grado di renderli entrambi competitivi eliminando o riducendo le diseconomie e favorendo le innovazioni di processo e/o di prodotto nelle intraprese, sostenendone la capitalizzazione e un dimensionamento più funzionale insieme a una configurazione giuridica più consona al mercato dei capitali.

Questo serve alla Sardegna per affrontare concretamente e strutturalmente l'emergenza disoccupazione, per incrementare la forza lavoro e con essa la competitività del sistema produttiva e la capacità di creare maggiore ricchezza.

È utile allora interrogarsi subito sul che fare, verificando le strade già percorse e sperimentandone di nuove. A suo tempo affrontammo l'esperienza maturata in Germania con il contratto del 2004 in Volkswagen per verificare la validità di quelle scelte per le nostre realtà, sia in Sardegna che nel resto del Paese. Una suggestione ricorrente quella di aumentare l'orario di lavoro, a parità di retribuzione, per affrontare le difficoltà delle aziende e per tutelare il lavoro, ma inefficace e perdente in una realtà con salari molto ridotti, con crisi derivanti da riduzione della domanda e contrazione dei consumi, dall'assenza della democrazia economica e del coinvolgimento dei lavoratori nell'impresa, aspetti fondamentali per cooperare e governare le scelte più difficili per i lavoratori e le necessarie contropartite. I contratti di solidarietà sono invece strumenti che possono rispondere ad alcune tipologie di crisi senza ridurre la mano d'opera e pesare sull'impresa.

A proposito di orari di lavoro, è utile evidenziare che l'Italia, come attesta l'OCSE, è uno dei Paesi in cui si lavora di più. In Grecia, almeno prima dell'ultima crisi, ancora più che in Italia. Il riferimento sono le ore lavorate in un anno per addetto. Una delle caratteristiche fondamentali delle difficoltà economiche e produttive è anche la crisi della domanda, ciò che ha portato a un aumento senza precedenti delle ore di integrazione salariale in tutti i settori. L'aumento delle ore di lavoro, peraltro a parità di retribuzione (in Sardegna salari inferiori di un buon 20% rispetto al centro-nord), non inciderebbe in termini consistenti su nessuna delle voci che costituiscono il PIL.

Ritornando al contratto del 2004 nella Volkswagen. La Volkswagen aveva prima del contratto del 2004 una situazione di crisi pesante, un costo del lavoro più alto del 20% rispetto anche alle altre concorrenti tedesche del settore, una settimana lavorativa condizionata, anche se modificata nel tempo, da un accordo del 1993 quando VW e IG Metal per salvare l'occupazione concordarono un abbassamento del tempo di lavoro a 28,8 ore settimanali su quattro giorni e alcune formule di flessibilizzazione dell'orario per taluni gruppi di lavoratori, in cambio di una diminuzione delle retribuzioni su base annua, condizioni retributive molto lontane da quelle italiane del settore auto .

La IG Metal predispose una serie di condizioni per avviare le trattative in base al contratto collettivo del 2004, come ad esempio: evitare il dumping salariale nei confronti dei concorrenti interni e nel mercato interno europeo, limitare nel tempo la deroga ai diritti previsti dal contratto collettivo, definire cosa deve garantire in cambio l'impresa, in particolare la garanzia del posto di lavoro, ulteriori contratti di formazione lavoro, promesse di investimenti, innovazione dei prodotti, controllo e codeterminazione nell'attuazione degli interventi strutturali concordati,ecc..

In Sardegna dobbiamo certamente far tesoro di tutte le esperienze maturate nell'ambito delle relazioni sindacali e industriali, ma valutando le enormi differenze di periodo e di contesto e individuando i reali vincoli che ostacolano la capacità di fare e attrarre impresa e i vincoli da rimuovere per promuovere la competitività della stessa e dell'intero sistema economico regionale.