L’Assemblea costituente del popolo sardo

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L’Assemblea costituente del popolo sardo per rinnovare le istituzioni e per rinegoziare il patto con lo Stato

di Mario Medde, dell’Associazione Carta di Zuri

Un più che autorevole esponente del Consiglio regionale ha recentemente affermato, in riferimento alle riforme dello Statuto sardo e di quelle istituzionali, che il Consiglio è pensante, proponente e deliberante. Si tratta di un richiamo alle indiscutibili prerogative dell’organismo e, probabilmente, una risposta a quanti sollecitano l’istituzione dell’Assemblea costituente del popolo sardo. A soffermarsi sulle funzioni e competenze del Consiglio l’affermazione è del tutto ineccepibile.

 Non sfuggiranno certo, perché sono sotto gli occhi della pubblica opinione, le difficoltà della rappresentanza politica e istituzionale, e la sua non sufficiente credibilità, le vicende senza precedenti che hanno coinvolto, al di là degli esiti giudiziari, un numero enorme di consiglieri regionali, i problemi ancora irrisolti in ordine ai non pochi privilegi che ne minano l’autorevolezza e il rispetto dei cittadini, la crisi delle massime istituzioni dell’autonomia in fatto di efficienza e di efficacia, lo scenario politico e istituzionale nazionale che non sembra ben disposto, per usare un eufemismo, a garantire continuità all’esperienza autonomistica nella parte che riguarda la specialità. E non sembrano neppure esserci le condizioni per un confronto Stato-Regione che rinegozi aspetti importanti riguardanti l’autonomia finanziaria e la fiscalità, il riconoscimento dello status di insularità e le pari opportunità (si veda la questione energetica, la continuità territoriale, le infrastrutturazioni materiali e immateriali), la revisione del patto di stabilità.

Rispetto dunque allo status di un Consiglio che è pensante, proponente e deliberante, il problema che si pone riguarda la congruità della risposta all’altezza della fase costituente e la forza e l’autorevolezza indispensabile a porsi come interlocutore credibile con lo Stato e l’Unione Europea. Bisogna essere armati di buone ragioni e proposte, di forte e diffusa volontà popolare, di una specifica delega a trattare con la consapevolezza di dover rappresentare la Sardegna con le sue virtù, ma anche la rabbia e il disagio che deriva da una situazione insostenibile. Il Consiglio regionale, da solo, o con semplici e spesso inutili audizioni, ha oggi queste caratteristiche di autorevolezza, rappresentanza e forza? Le ultime elezioni regionali, con una legge elettorale non adeguata, hanno portato a un Consiglio realmente rappresentativo delle istanze e della volontà dei sardi? Nella riforma dello Statuto dell’Isola non si tratta di scrivere un testo di diritto costituzionale; ogni legge fondamentale vive non solo per la forza e la coerenza della norma, ma anche e soprattutto per l’interesse e l’adesione dei cittadini che la vivono. L’Assemblea costituente, eletta con sistema proporzionale e con le necessarie incompatibilità, è garanzia ed espressione di questo interesse e di questa adesione.

L’obiettivo è quello di impegnare l’intera comunità regionale in un progetto di partecipazione diretto al rinnovamento delle istituzioni, a un nuovo rapporto con lo Stato, ad affermare nello Statuto i principi di giustizia e solidarietà.

Quello che sollecitiamo è un processo di cambiamento che abbia come epicentro la questione sociale e le istituzioni, le primarie emergenze della Sardegna. Va sottolineato che senza istituzioni forti, partecipate e credibili non sarà neppure possibile affrontare e risolvere i problemi della disoccupazione e delle povertà, delle diseconomie esterne al processo produttivo e dell’efficienza dello stesso mercato, al quale in troppi assegnano un ruolo taumaturgico, come se fosse una specie di configurazione dello spirito.

L’ideale, la soluzione migliore, sarebbe quella di affrontare l’intera questione autonomistica, sviscerarne e capirne la crisi. Si tratta infatti di superare la scelta fatta prima delle elezioni di febbraio con l’approvazione della legge elettorale, stralciando da una vera legge statutaria aspetti fondamentali e decisivi per un modello di vera democrazia nell’Isola (ad esempio gli istituti di democrazia diretta, la disciplina delle fonti normative, eventuali organi di garanzia). Specialità e forma di governo vanno affrontate come due parti della stessa materia, recuperando un’unica ispirazione e disegno. Solo così sarà possibile restituire all’esperienza autonomistica la capacità di modificarsi in una dimensione più consona ai bisogni del presente in Italia e in Europa.