Il rinnovamento delle istituzioni sarde

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Un'urgenza per rilanciare lo sviluppo e il lavoro
 
di Mario Medde
 
Si avvicina l'appuntamento elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale della Sardegna. Presumibilmente nel mese di febbraio 2013; settimana più settimana meno. Lo scenario è tutt'altro che confortante. Anzi, è proprio drammatico. Reddito, consumi, investimenti, lavoro, ricchezza prodotta, i principali indicatori economici e sociali parlano di una crisi dell'Isola senza precedenti.

Si potrebbe pensare a un impatto ancora più forte dello tsunami finanziario, e poi economico, internazionale sulle deboli strutture produttive e sociali della Sardegna. Non si è però di fronte solo agli "stracci che volano" quando il vento soffia oltre misura.
In un momento di grave difficoltà anche le intraprese più strutturate e solide cercano di realizzare economie e di incrementare la produttività avvalendosi soprattutto dei fattori di ambiente e di quelle infrastrutturazioni materiali e immateriali utili a fronteggiare il lungo inverno della crisi e una competizione sempre più selvaggia. Non è il caso della Sardegna dove le diseconomie esterne al processo produttivo quintuplicano le conseguenze nefaste della crisi finanziaria ed economica mondiale. Energia, mobilità delle persone e delle merci, infrastrutturazioni, istruzione e formazione, credito, sono tutti problemi irrisolti e antichi che pesano ancora più in una economia globalizzata.
Le precondizioni di una nuova fase dello sviluppo e del lavoro nell'Isola stanno quasi tutte qui. La condizione prioritaria riguarda invece le nuove istituzioni che andranno a sostituire quelle ormai superate dell'Autonomia e della Rinascita.
La massima istituzione dell'Autonomia, l'Ente Regione, è il vero epicentro di questa crisi della Sardegna, come ne era stata il simbolo comunque coinvolgente per circa quarant'anni. Il simbolo e l'istituzione resistono inutilmente al definitivo tramonto delle idee e delle politiche, al venir meno delle speranze coltivate nelle stagioni della Rinascita, pure esaltanti per le passioni che attraversarono la vita dei gruppi dirigenti e degli stessi cittadini sardi.
Ora, non solo si è esaurita, e da tempo , quella forza propulsiva , ma in un momento che necessita di creatività, di passione e di positiva radicalità, si assiste alla mera difesa del fortino, peraltro assediato da quotidiane manifestazioni che rendono ancora più evidente il dramma di un popolo.
Ma la Regione non riesce più ad essere soggetto di regolazione dei bisogni nè di promozione dello sviluppo della Sardegna. E' impegnata invece in diversivi di autodifesa, come la cancellazione delle province e la nuova legge elettorale.
Due questioni che non individuano le cause vere delle difficoltà istituzionali e della crisi della rappresentanza politica, degli sprechi e dei costi che andrebbero senz'altro rimossi.
La prima va collocata nel più ampio disegno di riforme istituzionali, in primo luogo quello dell'Ente Regione, e dell'ente intermedio; si da delineare e attuare quel federalismo interno che sancisca una redistribuzione dei poteri e delle risorse tra Ente locale, Intermedio e Regione.
Un nuovo modello di democrazia che superi quello attuale, dell'autonomia e rinascita, mutuato dal modello ottocentesco dello Stato, della concentrazione fisica, dei poteri e delle risorse finanziarie e umane nell'Ente Regione e in un unico ambito territoriale, quello del capoluogo. Una caratteristica che ha favorito non poco, tra le tante distorsioni di natura politica, finanziaria e istituzionale, una sorta di squilibrio nello sviluppo e negli assetti demografici dell'Isola.
Questa abnorme concentrazione , lungi dal favorire efficienza ed efficacia all'azione politica e istituzionale, ha incrementato le contrapposizioni territoriali, limitato un più armonico ed equilibrato sviluppo, incentivato un sistema con un centro e una periferia, piuttosto che la dimensione della rete, più consona alle caratteristiche geo-territoriali e demografiche e alla stessa storia dell'Isola, come insieme di "piccole patrie", salvo eccezioni, micro comunità.
La riforma della legge elettorale ha reso ancora più evidente l'autodifesa corporativa del ceto politico. Tutta incentrata nell'unico obiettivo di redistribuire i seggi del listino sulle circoscrizioni e di auto tutelarsi, non si sono preoccupati neppure della governabilità, viste le soglie di assegnazione del premio di maggioranza.
Sarebbe comunque stato un risultato minimo, considerato che il problema della Sardegna non è quello della stabilità dei governi, della governabilità, ma delle istituzioni utili a interpretare il nuovo volto dell'autogoverno, della moderna sovranità, di un nuovo patto costituzionale che si lasci alle spalle la fase ormai logora e senza futuro dell'autonomia e della rinascita, così come le abbiamo declinate negli ultimi vent'anni.
Solo un potere costituente, con la più ampia partecipazione popolare, può avviare una storia diversa dalle attuali e stagnanti vicende, in grado anche di determinare una svolta nel lavoro, nell'economia e nel sociale.
Ecco perché, da anni, peroriamo la causa dell'Assemblea costituente del popolo sardo per decidere i contenuti del nuovo patto dei sardi per l'autogoverno, il lavoro e lo sviluppo, e insieme per negoziare un nuovo patto costituzionale, prima che la stessa specialità rifluisca verso l'ordinarietà e noi stessi ci si abitui alla omologazione, rinunciando anche alle pari opportunità.
Sviluppare un potere costituente significa intercettare il diffuso malessere sociale e orientarlo verso il rinnovamento della politica e delle istituzioni, senza abbandonarlo al populismo e alle corporazioni, o ancora peggio al rifiuto della politica, immaginando e praticando così nuove forme di rappresentanza di tipo feudale come pseudo reazione alla crisi dei partiti.
La fine delle grandi "narrazioni" che hanno attraversato la storia di parte del diciannovesimo secolo e di tutto il ventesimo secolo, spesso fonti di tragedie, ma anche e soprattutto di reale progresso e di positivi cambiamenti, nei diritti di cittadinanza e nell'inclusione dentro lo stato di numerose categorie sino ad allora ai margini della vita economica e istituzionale, non può lasciare la rappresentanza politica senza un progetto che proietti nel futuro, non solo nel presente, i sogni, le speranze della persona e le aspettative di positivo cambiamento di intere comunità e ceti sociali.
La sfida storica di oggi, che avvolge tutti gli aspetti del vivere umano, e tocca in profondità la stessa dimensione antropologica, anche con la rivoluzione biotecnologica che interroga la vera identità dell'uomo, nel riguardare le istituzioni, l'economia e l'impresa, il lavoro, il sociale e la lotta alla povertà, pone con urgenza il tema della moderna sovranità.
Chi è preposto a decidere in una società globalizzata, dominata da entità finanziarie ed economiche che sfuggono al controllo dello stato, e alle stesse organizzazioni mondiali di regolazione e controllo?
L'autonomia e l'indipendenza, l'idea e la pratica dell'autogoverno, vanno oggi pensate alla luce delle dinamiche e delle modificazioni che da qualche anno incidono nella vita non solo delle persone, ma anche degli stati,e delle organizzazioni di varia natura.
Di fronte a problemi di questa dimensione, con l'interdipendenza che caratterizza i molteplici fenomeni, sia locali che internazionali, le scelte elitarie sono destinate al fallimento, a non decollare o a infrangersi sulle forti reazioni popolari, talvolta persino improntate al qualunquismo e al populismo.
Affrontare il problema del governo e delle istituzioni, non semplicemente della governabilità, ma del modello di democrazia e partecipazione, significa farsi carico del rapporto tra cittadini e politica, e tra questi e l'economia, il lavoro, i diritti e i doveri.
In una fase di degenerazione e crisi del potere costituito, di estrema difficoltà della rappresentanza e mediazione degli interessi, è indispensabile introdurre elementi virtuosi in grado di riproporre, attraverso nuovi strumenti, e la partecipazione più diffusa delle intelligenze e sensibilità, una diversa e migliore visione del presente e del futuro.
In questa direzione abbiamo da tempo pensato l'assemblea costituente del popolo sardo. È lungo queste riflessioni che bisogna collocare alcuni problemi fondamentali e propedeutici in tema di lavoro, di produzione e redistribuzione di ricchezza, di diritti di cittadinanza.
Da qui muovono le direttrici del nuovo autogoverno, della naturale evoluzione dell'autonomia e della sua organizzazione istituzionale; un disegno che si accompagna al nuovo patto costituzionale tra la Sardegna e l'Italia, contestuale al progetto di reale autonomia finanziaria in grado di promuovere le basi materiali dello sviluppo e di inserire l'Isola nelle dinamiche, lente e contraddittorie, di costruzione dell'Europa dei popoli. Certo è determinante la lucidità e la passione dei gruppi dirigenti, la capacità di coniugare l'etica della convinzione con quella della responsabilità.
Come si diceva un tempo: Hic Rhodus, hic salta.